Con riguardo al criterio dell’ “entità della pena“, con riferimento all’art. 133, C.p. è pienamente ancorato al potere discrezionale del giudice che deve tener conto della gravità del reato, desunta:
1) dalla natura, dalla specie, dai mezzi, dall’oggetto, dal tempo, dal luogo e da ogni altra modalità dell’azione;
2) dalla gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato;
3) dalla intensità del dolo o dal grado della colpa.
Il giudice deve tener conto, altresì, della capacità a delinquere del colpevole, desunta:
1) dai motivi a delinquere e dal carattere del reo;
2) dai precedenti penali e giudiziari e, in genere, dalla condotta e dalla vita del reo, antecedenti al reato;
3) dalla condotta contemporanea o susseguente al reato;
4) dalle condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo.
Secondo costante insegnamento della giurisprudenza di legittimità, le statuizioni in ordine all’entità della pena, al pari di quelle relative al riconoscimento o meno delle attenuanti generiche, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, rientrano nell’ambito di un giudizio di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice, che sfugge al sindacato di legittimità, qualora non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretto da sufficiente motivazione. (Cass., Sez. U., n. 10713 del 25/02/2010).
Quanto alla determinazione della pena, si è inoltre sostenuto che, proprio perché la determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo edittale rientra nell’ampio potere discrezionale del giudice di merito, questi ottempera all’obbligo motivazionale di cui all’art. 125, terzo comma, C.p., anche se abbia valutato globalmente gli elementi indicati nell’art. 133 C.p.. e, qualora la determinazione della pena non si discosti eccessivamente dai minimi edittali, anche adoperando espressioni come “pena congrua“, “pena equa“, “congruo aumento“, ovvero richiamandosi alla gravità del reato o alla personalità del reo (tra le più recenti, Cass, Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017).
Analogo ragionamento deve svolgersi per gli aumenti della continuazione.
Con sentenza a Sezioni Unite n. 47127 del 24/06/2021, la Corte di Cassazione ha precisato che in tema di reato continuato, il giudice, nel determinare la pena complessiva, oltre ad individuare il reato più grave e stabilire la pena base, deve anche calcolare e motivare l’aumento di pena in modo distinto per ciascuno dei reati satellite. Il grado di impegno motivazionale richiesto in ordine ai singoli aumenti di pena è correlato all’entità degli stessi e dev’essere tale da consentire di verificare che sia stato rispettato il rapporto di proporzione tra le pene, anche in relazione agli altri illeciti accertati, che risultino rispettati i limiti previsti dall’art. 81 C.p. e che non si sia operato surrettiziamente un cumulo materiale di pene. (Cass., Sez. 3, n. 20717/2022)