La tutela della persona offesa, maggiorenne o minorenne, nei reati di violenza sessuale passa attraverso una serie di norme di diritto sostanziale, processuale ed internazionale.
In particolare l’articolo 392 C.p.P., comma 1- bis, – disposizione introdotta nel codice di rito dalla L. 15 febbraio 1996, n. 66 (recante Norme contro la violenza sessuale), da ultimo sostituito dalla L. 1 ottobre 2012, n. 172 (rubricata Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d’Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale, fatta a Lanzarote il 25 ottobre 2007, nonché norme di adeguamento dell’ordinamento interno) – prevede che nei procedimenti relativi a taluni gravi reati, tra cui il delitto di atti sessuali con minorenne di cui all’articolo 609 quater C.p., “il pubblico ministero, anche su richiesta della persona offesa, o la persona sottoposta alle indagini possono chiedere che si proceda con incidente probatorio all’assunzione della testimonianza di persona minorenne ovvero della persona offesa maggiorenne, anche al di fuori delle ipotesi del comma 1”. La disposizione – in questa parte integrata dal Decreto Legislativo 15 dicembre 2015, n. 212 (recante Attuazione della direttiva 2012/29/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2012, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI) – aggiunge che si procede allo stesso modo, “in ogni caso”, vale a dire, indipendentemente dal reato oggetto di indagine, all’assunzione della testimonianza della persona offesa che “versa in condizione di particolare vulnerabilità”.
La genesi della disposizione ed il progressivo ampliamento del suo campo di applicazione in ottemperanza ad obblighi pattizi assunti dallo Stato in convenzioni internazionali, ovvero discendenti dalla necessità di conformarsi all’ordinamento Eurounitario, mostrano con evidenza come la ratio della previsione – che resta comunque ancorata anche ad esigenze investigative ed all’opportunità, in reati in cui la prova a carico è spesso principalmente fondata sulle dichiarazioni della persona offesa, di assumerne quanto prima la testimonianza nel contraddittorio delle parti, al fine di garantirne la genuinità rispetto a possibili fattori di condizionamento esterni, oltre che al semplice passare del tempo – abbia indubbiamente assunto una marcata impronta di protezione della vittima di reati di violenza domestica, di condotte persecutorie, di gravi forme di aggressione della personalità e libertà che coinvolgono la sfera sessuale. La vulnerabilità che di regola connota la persona offesa di tali reati spesso, ma non sempre, minorenni – e, in ogni caso, la consapevolezza della sofferenza psicologica connessa alla reiterazione delle audizioni volte alla ricostruzione di fatti gravi subiti (anche da altri, nel caso di testimoni minorenni che non siano persone offese), propria di un sistema processuale fondato sulla rigida distinzione tra la fase delle indagini e quella del giudizio, hanno indotto il legislatore, nelle situazioni descritte dall’articolo 392 C.p., comma 1-bis, a derogare al principio secondo cui la prova si forma in dibattimento, nel contraddittorio delle parti ed avanti al giudice chiamato ad assumere la decisione. Nella versione vigente, cioè, la disposizione, da leggersi in combinato disposto con l’articolo 190-bis C.p.P., comma 1-bis, mira soprattutto ad evitare il c.d. fenomeno della “vittimizzazione secondaria”, vale a dire – per usare le parole che si leggono in una recente sentenza della Corte costituzionale – quel processo che porta il testimone persona offesa “a rivivere i sentimenti di paura, di ansia e di dolore provati al momento della commissione del fatto” (Corte Cost., sent. 21/02-27/04/2018, n. 92).
L’importanza della tutela delle persone offese, in particolare dei reati suscettibili di arrecare conseguenze gravissime sul piano psicologico come la violenza sessuale ed il delitto di atti sessuali con minorenne, è da tempo avvertita e le riflessioni condotte in base ad un attento esame della realtà e con il supporto delle acquisizioni scientifiche hanno indotto le organizzazioni internazionali e gli Stati a promuoverne ed implementarne i livelli di generale protezione anche all’interno del processo penale con l’adozione di atti normativi vincolanti per i paesi membri e con la stipula di apposite convenzioni internazionali.
Come si legge in una recente decisione della Sezioni Unite della Corte di Cassazione, “l’interesse per la tutela della vittima costituisce da epoca risalente tratto caratteristico dell’attività delle organizzazioni sovranazionali sia a carattere universale, come l’ONU, sia a carattere regionale, come il Consiglio d’Europa e l’Unione Europea, e gli strumenti in tali sedi elaborati svolgono un importante ruolo di sollecitazione e cogenza nei confronti dei legislatori nazionali tenuti a darvi attuazione. I testi normativi prodotti dall’Unione Europea in materia di tutela della vittima possono essere suddivisi in due categorie: da un lato quelli che si occupano della protezione della vittima in via generale e dall’altro lato quelli che riguardano la tutela delle vittime di specifici reati particolarmente lesivi dell’integrità fisica e morale delle persone e che colpiscono di frequente vittime vulnerabili. Tra i primi assume un posto di assoluta rilevanza la Direttiva 2012/29 UE in materia di diritti, assistenza e protezione della vittima di reato, che ha sostituito la decisione-quadro 2001/220 GAI, costituente uno strumento di unificazione legislativa valido per tutte le vittime di reato, dotato dell’efficacia vincolante tipica di questo strumento normativo. Ad essa è stata data recente attuazione nell’ordinamento interno con il Decreto Legislativo 15 dicembre 2015, n. 212. Tra i testi incentrati su specifiche forme di criminalità e correlativamente su particolari tipologie di vittime, assumono particolare rilievo la Convenzione di Lanzarote del Consiglio d’Europa del 25 ottobre 2007, sulla protezione dei minori dallo sfruttamento e dagli abusi sessuali, e la Convenzione di Istanbul del Consiglio d’Europa dell’11 maggio 2011 sulla prevenzione e lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, entrambe incentrate sulla esigenza di garantire partecipazione, assistenza, informazione e protezione a particolari categorie di vittime. Come è stato osservato, la Direttiva 2012/29/UE, con il suo pendant di provvedimenti-satellite (le Direttive sulla tratta di esseri umani, sulla violenza sessuale, sull’ordine di protezione penale, tra le altre) e di accordi internazionali (le Convenzioni di Lanzarote e Istanbul, in particolare), rappresenta un vero e proprio snodo per le politiche criminali, di matrice sostanziale e processuale, dei legislatori Europei” (Cass., Sez. U., n. 10959 del 29/01/2016).
In tutti gli atti normativi internazionali evocati dalla decisione appena citata si afferma la necessità della tutela della persona offesa di reati di aggressione sessuale dalla vittimizzazione secondaria.
Solo per citare le più rilevanti disposizioni in materia, con particolare riguardo a quelle attuate con il disposto di cui all’articolo 392 C.p.P., comma 1-bis, si consideri:
– l’articolo 18 Direttiva 2012/29/UE: “fatti salvi i diritti della difesa, gli Stati membri assicurano che sussistano misure per proteggere la vittima e i suoi familiari da vittimizzazione secondaria e ripetuta”;
– l’articolo 20 della stessa Direttiva prevede che: “fatti salvi i diritti della difesa e nel rispetto della discrezionalità giudiziale, gli Stati membri provvedono a che durante le indagini penali: a) l’audizione della vittima si svolga senza indebito ritardo dopo la presentazione della denuncia relativa a un reato presso l’autorità competente; b) il numero delle audizioni della vittima sia limitato al minimo e le audizioni abbiano luogo solo se strettamente necessarie ai fini dell’indagine penale”;
– sempre al fine di evitare la reiterazione delle audizioni, l’articolo 24 della Direttiva aggiunge che se la vittima è un minore, gli Stati membri provvedono affinché “nell’ambito delle indagini penali tutte le audizioni del minore vittima di reato possano essere oggetto di registrazione audiovisiva e tali registrazioni possano essere utilizzate come prova nei procedimenti penali”;
– sulla stessa linea, l’articolo 35 della Convenzione di Lanzarote stabilisce, con riguardo alle audizioni processuali del minore vittima di sfruttamento o abusi sessuali, che ciascuna delle Parti adotta le misure legislative o di altra natura necessarie affinché “il numero di audizioni sia limitato al minimo e allo stretto necessario per lo svolgimento del procedimento penale” (comma 1, lettera e) e “le audizioni della vittima o, ove necessario, di un minore testimone dei fatti, possano essere oggetto di una registrazione audiovisiva, e che tale registrazione possa essere ammessa quale mezzo di prova nel procedimento penale, conformemente alle norme previste dal proprio diritto interno” (comma 2);
– l’articolo 18 della Convenzione di Istanbul, tra gli obblighi generali a carico degli Stati pone quello di adottare “le necessarie misure legislative o di altro tipo per proteggere tutte le vittime da nuovi atti di violenza” (comma 1), “al fine di proteggere e sostenere le vittime e i testimoni di ogni forma di violenza rientrante nel campo di applicazione della presente Convenzione” (comma 2), accertandosi che le misure adottate “mirino ad evitare la vittimizzazione secondaria” (comma 3; v. anche articolo 56, comma 1, lettera a).
Corte di Cassazione, Sez. III, 26 luglio 2019, n. 34091