Adeguatezza della condotta risarcitoria
Più in particolare, il problema dell’adeguatezza della condotta risarcitoria nell’ambito della sospensione del processo come messa alla prova è stato affrontato da Sez. 2, n. 34878 del 13/06/2019, Nassini,
Nell’occasione, si era ribadito, in primo luogo, che la messa alla prova non rappresenta un diritto assoluto dell’imputato “… in quanto la relativa richiesta può trovare accoglimento solo nel caso in cui il giudice al quale viene rivolta, all’esito di un percorso valutativo da effettuare alla luce dei parametri fissati dall’art. 133, cod. pen. <reputa idoneo il programma di trattamento presentato e ritiene che l’imputato si asterrà dal commettere ulteriori reati>, come espressamente previsto dall’art. 464 quater, co. 3, cod. proc. pen.” (cfr., Sez. 5, n. 7983 del 26/10/2015, Matera, Rv. 256256-01, conf., Sez. 6,n. 37346 del 14/09/2022, Boudraa Rv. 283883 – 01); era stato segnalato che “l’uso della congiunzione <e> rende evidente che nell’esercizio del suo potere discrezionale il giudice dovrà valutare, avendo sempre come punto di riferimento la gravità del reato e la capacità a delinquere del prevenuto, sia l’idoneità del programma di trattamento, sia la possibilità di formulare una prognosi favorevole nei confronti dell’imputato sulla circostanza che egli per il futuro si asterrà dal commettere ulteriori reati, previsione quest’ultima che, nel rifarsi alla formulazione dell’art. 164, co. 1, cod. pen. (con l’unica rilevante differenza che la valutazione riguarda la persona dell’imputato e non del “colpevole”), accomuna la causa di estinzione del reato di nuovo conio alla sospensione condizionale della pena, di cui all’art. 163, cod. pen..” (cfr., in motivazione della sentenza “Matera”).
L’art. 464-bis, comma 4, cod. proc. pen. prevede che la richiesta formulata dall’imputato deve essere corredata di un programma di trattamento, elaborato d’intesa con l’ufficio di esecuzione penale esterna, ovvero, nel caso in cui non sia stata possibile l’elaborazione, la richiesta di elaborazione del programma, contenente le modalità di coinvolgimento dell’imputato, nonché del suo nucleo familiare e del suo ambiente di vita nel processo di reinserimento sociale, ove ciò risulti necessario e possibile; il programma o la richiesta debbono inoltre contenere le prescrizioni comportamentali e gli altri impegni specifici che l’imputato assume anche al fine di elidere o attenuare le conseguenze del reato, considerando a tal fine il risarcimento del danno, le condotte riparatorie e le restituzioni, nonché le prescrizioni attinenti al lavoro di pubblica utilità ovvero all’attività di volontariato di rilievo sociale.
Il successivo art. 464-quater, comma 3, cod. proc. pen., stabilisce che la sospensione del procedimento con messa alla prova è disposta quando il giudice, in base ai parametri di cui all’art. 133 cod. pen., reputa idoneo il programma di trattamento presentato e ritiene che l’imputato si asterrà dal commettere ulteriori reati.
In questo quadro rileva l’art. 168-bis, terzo comma, cod. pen., laddove si prevede che “la concessione della messa alla prova è inoltre subordinata alla prestazione di lavoro di pubblica utilità. Il lavoro di pubblica utilità consiste in una prestazione non retribuita, affidata tenendo conto anche delle specifiche professionalità ed attitudini lavorative dell’imputato, di durata non inferiore a dieci giorni, anche non continuativi, in favore della collettività, da svolgere presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni, le aziende sanitarie o presso enti o organizzazioni, anche internazionali, che operano in Italia, di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato. La prestazione è svolta con modalità che non pregiudichino le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute dell’imputato e la sua durata giornaliera non può superare le otto ore“.
Di particolare rilievo è stato infine considerato il disposto di cui all’art. 464- bis comma 5 cod. proc. pen. secondo cui “al fine di decidere sulla concessione, nonché ai fini della determinazione degli obblighi e delle prescrizioni cui eventualmente subordinarla, il giudice può acquisire, tramite la polizia giudiziaria, i servizi sociali o altri enti pubblici, tutte le ulteriori informazioni ritenute necessarie in relazione alle condizioni di vita personale, familiare, sociale ed economica de/l’imputato …“.
Si era pertanto affermato che il complesso delle norme sopra richiamate consente di concludere nel senso che la valutazione del giudice debba investire la “adeguatezza” del programma presentato dall’imputato, che va verificato sia sotto il profilo della sua idoneità a favorire il suo reinserimento sociale ma, anche, della sua effettiva corrispondenza alle condizioni di vita del prevenuto; in altri termini, la “adeguatezza” del programma deve essere indagata anche sotto il profilo dell’essere esso espressione dell’apprezzabilità dello sforzo sostenuto dall’imputato per elidere le conseguenze dannose o pericolose del reato e risarcire il danno.
In quest’ottica, come si era sottolineato, l’inciso “ove possibile“, contenuto nel comma 2 dell’art. 168-bis cod. pen., evocato dal giudice di merito, deve essere letto nel senso che il risarcimento del danno deve corrispondere “ove possibile” al pregiudizio patrimoniale arrecate alla vittima sicché, ove esso non sia tale, deve comunque essere la espressione dello sforzo “massimo” pretendibile dall’imputato alla luce delle sue condizioni economiche che il giudice ha la possibilità di verificare con i propri poteri ufficiosi.
D’altra parte, si era detto, la adeguatezza del programma deve essere valutata anche sotto il profilo della sua “coerenza” con la gravità del fatto sia dal punto di vista oggettivo che dal punto di vista soggettivo, considerando che il lavoro di pubblica utilità rappresenta una sanzione sostitutiva di tipo prescrittivo dotata di una necessaria componente afflittiva la cui durata massima non è stata oggetto di previsione normativa e deve allora essere valutata dal giudice alla luce di un criterio di “proporzionalità” con i fatti di reato alla stregua degli indici dettati dall’art. 133 cod. pen. per la commisurazione della pena (cfr., Cass. Pen., 3, 19.9.2017 n. 55.511, Zezza, Rv. 272066-01; cfr., anche, Sez. 6, n. 44646 del 01/10/2019.
Nella stessa prospettiva, il giudice è tenuto a valutare la “adeguatezza” della condotta risarcitoria che, pur non richiedendo l’integrale ristoro del danno subito dalla persona offesa, non può non avere, quale parametro di riferimento, il pregiudizio patrimoniale arrecato alla vittima e, per contro, le effettive capacità patrimoniali dell’imputato.
A tal fine, come si è detto, il legislatore ha avuto la accortezza di predisporre dei poteri di indagine da attivare nei termini e con le modalità previste dalle disposizioni sopra richiamate e cui il giudice, a fronte di una manifesta “sproporzione” tra il danno patrimoniale cagionato e l’offerta risarcitoria, potrà (ed anzi dovrà) far ricorso al fine per l’appunto di verificare la “adeguatezza” del risarcimento quale effettiva e reale espressione di uno sforzo apprezzabile e concreto dell’imputato, anche alla luce della “sorte” degli importi di cui egli si sarebbe indebitamente appropriato.
In tal senso, a partire dalla sentenza “Nassini”, richiamata in precedenza, si è conformata la giurisprudenza della Corte di legittimità con una pluralità di decisioni tutte univoche nel ribadire che il giudizio sull’adeguatezza del programma dev’essere effettuato alla stregua dei parametri di cui all’art. 133 cod. pen., tenendo conto non solo dell’idoneità a favorire il reinserimento sociale dell’imputato, ma anche dell’effettiva corrispondenza alle sue condizioni di vita, attesa la previsione di un risarcimento del danno che, ove possibile, corrisponda al pregiudizio dal predetto recato alla vittima o sia, comunque, espressione del massimo sforzo sostenibile in base alle sue condizioni economiche, verificabili dal giudice ai sensi dell’art. 464-bis, comma 5, cod. proc. pen. (cfr., in tal senso, Sez. 3, n. 23934 del 11/04/2024, Cavatorta, Rv. 286660 – 01 e, tra le non massimate, Sez. 3, n. 38489 del 14.6.2024, Galeazzi; Sez. 3, n. 29750 del 13.6.2024, Stallone; Sez. 3, n. 29511 del 28.5.2024, Eufemi; Sez. 3, n. 239234 dell’11.4.2024, Cavatorta; Sez. 7, n. 22121 del 23.4.2024, Di Giovacchino; Sez. 6, n. 17313 del 12.3.2024, Rabatti; Sez. 2, n. 9966 del 16.2.2024, Bertolino; Sez. 2, n. 44850 dell’11.10.2023, Sani; Sez. 4, n. 31884 del 12.7.2023, Magherini; Sez. 4, n. 18291 del 23.2.2023, Marini).
Corte di Cassazione Penale Sent. Sez. 2 n. 6978 del 2025