Artemisia: “Io che avevo imparato a dipingere come un uomo”

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Autoritratto come allegoria della Pittura. Kensington Palace, Londra

Artemisia Gentileschi nasce a Roma, l’ 8 luglio 1593. Figlia del già famoso pittore Orazio Gentileschi dimostra sin da subito grande attitudine per la pittura; il padre la istruisce, la fa collaborare alla preparazione delle opere e dei colori, le insegna tutti i suoi  segreti e si rende presto conto che la figlia ha quel “quid” in più, che lo renderà fiero e allo stesso tempo invidioso.

Il mondo della pittura del ‘600 a Roma è duro e spietato, soprattutto per una donna; ma Artemisia ha una personalità forte, passionale, decisa, impara tutto ciò che può dal padre e dai molti artisti che frequentava, ma resta il padre il mentore, il maestro con il quale ha da sempre e per sempre , un rapporto di invidia e ammirazione alla continua ricerca di approvazione.

Un conflitto continuo che porterà i due Gentileschi pittori, il padre e la figlia a riconoscersi nelle opere, cercarsi ma vivere lontani per lungo tempo.

Artemisia è una donna che combatte, non si arrende, nel 1611, porta a processo, in accordo con il padre, il suo stupratore, tale  Agostino Tassi, pittore anche lui, collaboratore di Orazio Gentileschi al quale aveva affidato la figlia per insegnarle la tecnica della prospettiva di cui il Tassi era maestro.

Agostino abusò di Artemisia, promettendole poi di sposarla, quando ciò non avvenne, fu denunciato. Uno dei primi processi vinto da una donna, Artemisia, la quale dimostrò tutto il coraggio e la sua determinazione, sopportò anche la tortura dello schiacciamento dei pollici, rischiando di non poter più dipingere, pur di affermare la sua verità.

artemisiaDipingere, solo dipingere era la cosa veramente importante per Artemisia che ne fece il proprio mestiere.

Artemisia, terminato il processo, si sposò, per convenienza, con Pierantonio Stiattesi, e una volta sistemata la sua reputazione e quella della famiglia, poté dedicarsi definitivamente alla pittura.

La pittura di Artemisia, rappresenta tutta la sua forza, la passione di una donna che non ha chinato il capo; di scuola caravaggesca, è una pittura che riporta anche il vissuto, la violenza e il riscatto.

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Giuditta che decapita Oloferne

In Giuditta che decapita Oloferne, quadro molto citato durante il processo è possibile vedere questa forza nei colori, il blu elettrico, il rosso scarlatto in contrasto con il bianco dei panneggi, nell’ impianto della scena con l’ancella che spinge e tiene fermo con vigore Oloferne e nell’ espressione del volto di Giuditta deciso e fermo.

Così Artemisia, pittrice, sposata, dopo il processo si allontana da Roma, si trasferisce in Toscana a Firenze e qui inizia il secondo periodo della sua pittura, con molte figure di donne fiere e volitive, consolida il suo lavoro e il suo nome che la porterà a viaggiare in altre corti italiane, Venezia e Napoli fino in Inghilterra.

Artemisia ebbe una vita lunga e sicuramente molto intensa che terminò all’ età di sessant’ anni nel 1653.

E’ sepolta probabilmente nella parrocchia dei Fiorentini a Napoli dove si trova solo un iscrizione “HEIC ARTEMISIA” (Qui giace Artemisia).

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