Disciplina transitoria dell’istituto della messa alla prova

Disciplina Recidiva nel triennio Coabitazione Revoca dell'ordinanza di sospensione del procedimento di messa alla prova Sanzione amministrativa accessoria della revoca Semilibertà Affidamento in prova al servizio sociale Selfie pornografici Natura del reato Esito positivo della prova Pensione di reversibilità durata della sanzione amministrativa della sospensione Violenza sessuale Accesso all'istituto della messa alla prova Programma di Trattamento Decreto di citazione a giudizio Durata del lavoro Revisione dell'assegno di divorzio Sospensione della patente di guida e confisca Prognosi favorevole Interpretazione del contratto Revoca della sanzione sostitutiva sostitutiva Irrilevanza Pronuncia di addebito Integrazione o modificazione del programma di trattamento Oblazione Quantificazione della sanzione amministrativa accessoria Verità della notizia Competenza territoriale Lavoro di pubblica utilità Esimente del diritto di satira Critica Sentenza di non doversi procedere Revoca della pena sostitutiva del lavoro di Tradimento e risarcimento del danno Contraffazione Contraffazione grossolana Danno cagionato da cosa in custodia Diniego dell'applicazione dell'istituto della messa alla prova Programma di trattamento e Pubblicazione di foto Trasferimento del lavoratore subordinato Modifica del programma Trasferimento del lavoratore contratto preliminare ad effetti anticipati Espressioni denigratorie Revoca dell'ordinanza di sospensione del procedimento Impugnazione avverso la sentenza di estinzione del reato Incapacità naturale Messa Medico del lavoro Abbandono della casa coniugale Messa alla prova presentata nel giudizio di secondo grado Spese a carico dell'usufruttuario L'ordinanza Pettegolezzo Sospensione della prescrizione Addebito della separazione La caparra confirmatoria Iscrizione di ipoteca Assegno divorzile Rimessione in termini Diritto di satira Programma di trattamento Prestazione di attività non retribuita Diritto di cronaca giudiziaria Circostanze aggravanti Diritto morale d'autore Reato di diffamazione tramite la rete internet Decreto penale di condanna e Impugnazione dell'ordinanza di rigetto Giudizio abbreviato e sospensione del procedimento per messa alla prova tollerabilità delle immissioni Vizi della cosa locata Diffamazione Diffamazione tramite la rete Internet Preliminare di vendita Casellario giudiziale Rilascio dell'immobile locato lavori di straordinaria amministrazione Garanzia per i vizi revoca della sanzione sostitutiva Paternità dell'opera Esimente della verità putativa Pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale Diritto di cronaca Sincronizzazione Animali da compagnia Traduzione Obbligazione naturale Modifica del programma di trattamento Format di un programma televisivo Plagio Giurisdizione Relazione investigativa Responsabilità dei genitori, dei tutori, dei precettori e dei maestri d'arte Detenzione del bene Discriminazione direttaLa Suprema Corte di Cassazione con la sentenza che si riporta in commento affronta la questione inerente la disciplina transitoria dell’istituto della sospensione del processo con messa alla prova introdotta con la Legge n. 67 del 28 Aprile 2014 e la circostanza che l’istituto de quo non è compatibile con il sistema delle impugnazioni.

Nel caso di specie l’imputato, tratto a giudizio con rito direttissimo veniva condannato, in esito al rito abbreviato, con sentenza pronunciata in data precedente all’entrata in vigore della Legge n. 67 del 28 Aprile 2014. Con i motivi di appello l’imputato aveva avanzato la richiesta di sospensione del processo per ammissione alla messa alla prova, che veniva respinta dal giudice di secondo grado. A fondamento del diniego si sostiene che in mancanza di una disciplina transitoria, l’istituto non è compatibile con la richiesta avanzata, per la prima volta, con l’atto di appello. La Corte distrettuale ha richiamato la giurisprudenza di legittimità secondo cui nel giudizio di appello l’imputato non può chiedere la sospensione del procedimento con la messa alla prova di cui all’art. 168-bis C.p., attesa l’incompatibilità del nuovo istituto con il sistema delle impugnazioni e la mancanza di una specifica disciplina transitoria (Cass. Sez. 4, n. 43009 del 30/09/2015).

L’istituto della messa alla prova è stato introdotto nel nostro ordinamento con la Legge n. 67 del 28 Aprile 2014, con interventi innestati sia nel codice penale, con le previsioni recate dagli artt. 168 bis, 168 ter e 168 quater che nel codice di rito con la introduzione degli artt. 464 bis e ss.

La messa alla prova comporta, oltre alla tenuta da parte dell’imputato/indagato di condotte volte all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato e, ove possibile, al risarcimento del danno, l’affidamento al servizio sociale con un particolare programma ed è subordinata alla prestazione di lavoro di pubblica utilità (art. 168-bis C.p.). L’esito positivo della prova “estingue il reato per cui si procede” (art. 168-ter C.p.).

Non manca, nello schema del procedimento in esame, un accertamento, in via incidentale e allo stato degli atti, perché l’accertamento definitivo è rimesso all’eventuale prosieguo del giudizio, nel caso di esito negativo della prova, della considerazione della responsabilità dell’imputato, posto che il giudice, in base all’art. 464-quater, comma 1, C.p.P., deve verificare che non ricorrono le condizioni per “pronunciare sentenza di proscioglimento a norma dell’articolo 129” C.p.P., e anche a tale scopo può esaminare gli atti del fascicolo del pubblico ministero; deve valutare la richiesta dell’imputato, eventualmente disponendone la comparizione (art. 464- quater, comma 2, C.p.P.), e, se lo ritiene necessario, può anche acquisire ulteriori informazioni, in applicazione dell’art. 464-bis, comma 5, C.p.P.

Complesso, pertanto è l’accertamento rimesso al giudice che deve sia verificare l’idoneità del programma, quindi sui contenuti dello stesso, comprensivi sia della parte “afflittiva sia di quella rieducativa“, in una valutazione complessiva circa la rispondenza del trattamento alle esigenze del caso concreto, che presuppone anche una prognosi di non recidiva e sempre che, in base agli elementi di giudizio acquisiti, non debba pronunciare sentenza di proscioglimento, ai sensi dell’art. 129 C.p.P.

La Legge 67 del 2014 è entrata in vigore il 17 maggio 2014, e non prevedeva alcuna disciplina transitoria rispetto alla previsione, recata dall’art. comma 2 dell’art. 464-bis cit. del momento processuale nel quale la richiesta poteva essere avanzata dall’imputato, a pena di decadenza e che, per quel che qui rileva, stante il rito direttissimo seguito, era costituito dalla dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado.

La Corte Costituzionale, con la sentenza 240 del 2105, ha dichiarato manifestamente infondata la questione di illegittimità costituzionale dell’art. 464-bis C.p.P. nella parte in cui prevedeva uno sbarramento coincidente con la dichiarazione del dibattimento di primo grado ai fini della richiesta di messa alla prova: decisione che, pur evidenziando la natura sostanziale del nuovo istituto, perché dà luogo all’estinzione del reato, ne ha sottolineato la intrinseca dimensione processuale, in quanto consiste in un nuovo procedimento speciale, alternativo al giudizio, nel corso del quale il giudice decide con ordinanza sulla richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova. Il nucleo centrale della ricostruzione della Corte è stato incentrato sulle caratteristiche strutturali e sulla funzione dell’istituto che ha introdotto, in chiave deflattiva, un rito alternativo al giudizio sicchè consentire, sia pure in via transitoria, la richiesta nel corso del dibattimento, anche dopo che il giudizio si è protratto nel tempo, eventualmente con la partecipazione della parte civile (che avrebbe maturato una legittima aspettativa alla decisione), significherebbe alterare in modo rilevante il procedimento. Inoltre è da ritenere che il principio di retroattività della lex mitior riconosciuto dalla Corte di Strasburgo riguardi esclusivamente la fattispecie incriminatrice e la pena, mentre sono estranee all’ambito di operatività di tale principio, così delineato, le ipotesi in cui non si verifica un mutamento, favorevole al reo, nella valutazione sociale del fatto, che porti a ritenerlo penalmente lecito o comunque di minore gravità: (invero il principio di retroattività si riferisce, infatti, al rapporto tra un fatto e una norma sopravvenuta, di cui viene in questione l’applicabilità, e nel caso in oggetto, a ben vedere, l’applicabilità e dunque la retroattività della sospensione del procedimento con messa alla prova non è esclusa, dato che la nuova normativa si applica anche ai reati commessi prima della sua entrata in vigore. L’art. 464-bis C.p.P., nella parte impugnata, riguarda esclusivamente il processo ed è espressione del principio “tempus regit actum“).

Inoltre, le caratteristiche dell’istituto della sospensione del processo con messa alla prova sono state esaminate e ribadite anche nella giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di legittimità che, in linea con la sentenza n. 240 del 2015, ne ha confermato l’accentuata dimensione processuale, che lo colloca nell’ambito dei procedimenti speciali alternativi al giudizio, ma riconoscendone soprattutto la natura sostanziale quale istituto che persegue scopi special-preventivi in una fase anticipata, in cui viene “infranta” la sequenza cognizione-esecuzione della pena, in funzione del raggiungimento della risocializzazione del soggetto con l’apertura di una fase incidentale in cui si svolge un vero e proprio esperimento trattamentale, sulla base di una prognosi di astensione dell’imputato dalla commissione di futuri reati che, in caso di esito positivo, determina l’estinzione del reato. Il percorso di “prova” comporta per l’imputato l’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato e, se possibile, il risarcimento dei danni in favore della persona offesa, quindi l’affidamento al servizio sociale sulla base di un programma e, infine, la prestazione di un lavoro di pubblica utilità (Cass. Sez. U, n. 36272 del 31/03/2016).

E proprio tali caratteristiche sono state riprese dalla successiva sentenza della Corte Costituzionale, n. 91 del 2018, che, muovendo dal rapporto di affinità della messa alla prova con il procedimento di applicazione pena, ne ha evidenziato gli aspetti che lo differenziano nettamente da quest’ultimoin quanto il trattamento programmato non è una sanzione penale, eseguibile coattivamente, ma dà luogo a un’attività rimessa alla spontanea osservanza delle prescrizioni da parte dell’imputato, il quale liberamente può farla cessare con l’unica conseguenza che il processo sospeso riprende il suo corso.

Si tratta di valutazioni che pur ribadendo e sottolineando la natura sostanziale dell’istituto, ne evidenziano la natura processuale che anche rispetto ad altri riti premiali (si pensi al rito abbreviato ed al patteggiamento) non si esaurisce in un procedimento che comporta la contrazione o addirittura la eliminazione della fase processuale di raccolta della prova ma di un procedimento che, in vista della realizzazione degli scopi special preventivi in una fase anticipata e in funzione del raggiungimento della risocializzazione del soggetto, si risolve in un trattamento comportamentale rimesso, sia nella fase della richiesta che della esecuzione, alla volontà dell’imputato con la conseguenza che, ove l’applicazione dell’istituto fosse chiesta nel giudizio di impugnazione, sia in grado di appello che nel giudizio di legittimità, la sua esecuzione non solo si innesterebbe sull’accertamento qiudiziale già compiuto ma interverrebbe, in fase di impugnazione, alterando ex post, il risultato cui il processo di primo grado era pervenuto e che poteva avere visto la partecipazione di parti processuali diverse, come la parte civile, che avevano, così, maturato il conseguimento di statuizioni favorevoli. Né contrasta con tale soluzione la possibilità di impugnare il diniego della messa alla prova con i motivi di appello, quando la correlativa richiesta sia stata proposta in primo grado, poiché, in tale evenienza ciò che viene in discussione è il carattere ingiustificato del rigetto, da parte del giudice di primo grado, della richiesta di sospensione con messa alla prova già avanzata  (Cass. Sez. 6, n. 47109 del 31/10/2019).

Anche con riferimento all’istituto della non punibilità per particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis C.p. introdotto con D.Igs. 16 Marzo 2015, n. 28 che, in forza della sua natura sostanziale e in mancanza di disciplina transitoria, risulta applicabile ai procedimenti in corso ivi compresi quelli pendenti in sede di legittimità, non può non rilevarsi che la sospensione del procedimento con messa alla prova innesta nel processo di cognizione una fase di sperimentazione che, nel suo incedere ordinario, non è compatibile con situazioni processuali diverse da quelle che si realizzano nel giudizio di primo grado, anche a tutela dei diritti della persona offesa costituita parte civile, e che, nel giudizio di impugnazione, non si esauriscono nella mera presa d’atto, come nella particolare tenuità del fatto, degli elementi di giudizio rilevanti ai fini dell’applicazione della causa di non punibilità comportando, invece, l’apertura di una fase, quella trattamentale, rimessa all’iniziativa ed alla volontà dell’imputato a fronte di statuizioni processuali che possono interessare anche altri soggetti processuali e non solo l’esercizio della potestà punitiva dello Stato alla quale va ricondotto anche l’effetto di escludere la iscrizione, nel certificato del casellario spedito a richiesta dei privati, della sentenza emessa all’esito, positivo, della messa alla prova.

Corte di Cassazione Sent. Sez. 6 n. 33660 Anno 2020

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