Ordinanza di ammissione alla messa alla prova: Revoca

Ordinanza di esercizio del diritto di critica del lavoratoreLa Suprema Corte di Cassazione con la sentenza che si riporta in commento si pronuncia in merito alla revoca dell’ ordinanza di ammissione alla messa alla prova con conseguente prosecuzione del procedimento.

La disciplina che regola l’evolversi del procedimento in ipotesi di esito negativo della prova e di revoca dell’ ordinanza di ammissione è contenuta rispettivamente nell’art. 464 septies,comma 2^, C.p.P., secondo cui “In caso di esito negativo della prova, il giudice dispone con ordinanza che il processo riprenda il suo corso” e nell’art. 464 octies, comma 4^ C.p.P. ove si stabilisce che “Quando l’ordinanza di revoca è divenuta definitiva, il procedimento riprende il suo corso dal momento in cui è rimasto sospeso e cessa l’esecuzione delle prescrizioni e degli obblighi imposti“.
In entrambe le ipotesi, dunque, íl procedimento riprende il suo corso dal momento in cui era intervenuta la sua sospensione.

E’ necessario individuare la fase processuale in cui si trovava il procedimento nel momento in cui la sospensione è conseguita all’ammissione alla messa alla prova.

La sospensione del procedimento con messa alla prova, introdotto con il titolo V bis, aggiunto al Codice di Procedura Penale con l’art. 4 comma 1^, lett. a) della L. 28 Aprile 2014, n. 67, presuppone, nell’ipotesi di richiesta dell’interessato formulata al giudice nel corso delle indagini preliminari, che il consenso del pubblico ministero sia sinteticamente motivato e prestato unitamente alla formulazione dell’imputazione.

Laddove si valorizzi il dato letterale di cui all’art. 405 C.p.P., che non indica fra le ipotesi di esercizio dell’azione penale quella prevista dal titolo V bis del codice di rito, deve ritenersi che l’imputazione formulata in occasione della prestazione del consenso alla messa alla prova di cui all’art. 464 ter C.p.P., non costituisca esercizio dell’azione penale, poiché tecnicamente la richiesta di ammissione interviene prima che il pubblico ministero vi provveda autonomamente. Con la conseguenza che la fase procedimentale nella quale il processo viene sospeso in caso di ammissione è quella precedente l’esercizio dell’azione penale.
Al contrario, laddove si ritenga che la formulazione dell’imputazione anche in forza dell’art. 464 ter, comma 3^ C.p.P. implichi l’esercizio dell’azione penale il processo non potrà, in alcun caso, regredire alla fase delle indagini preliminari perché il pubblico ministero provveda ad un adempimento già svolto.
Ora, a sostegno della seconda opzione depone la lettura sistematica della disciplina. Ed invero, l’istituto della messa alla prova introduce una causa di proscioglimento per estinzione del reato su cui, tuttavia, prevalgono tutte le altre cause di proscioglimento, come si trae, da un lato, dalla lettera del primo comma dell’art. 464 quater C.p. che stabilisce che il giudice, nel corso dell’udienza, prima di provvedere deve verificare la sussistenza di cause di proscioglimento a norma dell’art. 129 C.p.P. Dall’altro dal disposto dell’art. 464 sexies C.p.P. che impone al giudice, con le modalità stabilite per il dibattimento, di acquisire le prove non rinviabili che possono condurre al proscioglimento dell’imputato.
La previsione della previa valutazione della sussistenza di causa di proscioglimento, accompagnata sinanco dal dovere di provvedere all’acquisizione di prove non rinviabili solo se dirette al proscioglimento, non risulta espressamente esclusa nell’ipotesi di sospensione per messa alla prova richiesta nel corso delle indagini preliminari. Innanzitutto, infatti, il primo comma dell’art. 464 C.p.P., che subordina la valutazione dell’istanza all’insussistenza delle cause di proscioglimento di cui all’art. 129, disciplina anche l’udienza fissata ex art. 127 in camera di consiglio, e quindi anche quella conseguente la richiesta proposta nel corso delle indagini preliminari.

In secondo luogo, una lettura che limiti la possibilità di assunzione di una prova non rinviabile, che possa condurre al proscioglimento dell’imputato, alle sole ipotesi di istanze successive all’esercizio dell’azione penale nelle forme espressamente richiamate dall’art.. 405 C.p.P., impedisce a colui che abbia formulato l’istanza in sede di indagini di ottenere lo stesso trattamento, così introducendo una diseguaglianza, collegata solo al momento in cui interviene la richiesta della stessa misura, la cui positiva prestazione comporta in entrambi i casi l’estinzione del reato, ma che in caso di revoca favorisce nell’acquisizione della prova solo colui che abbia formulato l’istanza ai sensi dell’art. 464 bis, comma 2^, C.p.P., escludendo colui che l’abbia formulata ai sensi dell’art. 464 ter C.p.P.
D’altro canto, se si ritiene che il disposto dell’art. 464 sexies C.p.P., si applichi in entrambi i casi, si deve anche osservare che la norma si riferisce al proscioglimento “dell’imputato“, equiparando, dunque, l’esercizio dell’azione penale di cui all’art. 405 C.p.P., con la formulazione dell’imputazione ex art. 464 ter.

Questa premessa sistematica consente di affermare che l’imputazione che il pubblico ministero è chiamato a formulare nel momento in cui presta il consenso, ai sensi dell’art. 464 ter, comma 3^ C.p.P. ha la stessa natura di esercizio di azione penale di quella prevista dall’art. 405 C.p.P. e non è mera descrizione del fatto per l’individuazione della fattispecie di reato, necessaria alla prestazione del consenso.

Ciò posto, laddove il giudice, revochi l’ ordinanza di ammissione alla messa alla prova pronunciata nel corso delle indagini preliminari, deve disporre, ai sensi dell’art. 464 octies, comma 4 C.p.P. che il procedimento riprenda il suo corso, con la conseguenza che quando la revoca divenga definitiva, il procedimento riprende dal momento in cui era rimasto sospeso. Il che significa che, quando l’azione penale sia stata esercitata con la formulazione dell’imputazione ex art. 464 ter C.p.P.. il procedimento non può regredire ad una fase antecedente, con restituzione degli atti al pubblico ministero, che, formulando l’imputazione, ha già esercitato l’azione penale.

Corte di Cassazione Sent. Sez. 4 Num. 29093 Anno 2018

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