Messa alla prova e giudizio abbreviato o immediato

giudizio abbreviato e immediato Controversie e provvedimenti in caso di inadempienze o violazioni Libertà e la segretezza della corrispondenza violenza sessuale di gruppoLa sospensione del processo con messa alla prova nel processo penale minorile è disciplinata dagli artt. 28 e 29 del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 (Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni) e costituisce un istituto caratterizzato dal fatto di inserirsi, in via incidentale, in una fase (udienza preliminare o dibattimento) antecedente la pronuncia sulla regiudicanda e di poter dar luogo, in caso di esito positivo della prova, ad una sentenza pienamente liberatoria.

Questi peculiari aspetti dell’istituto in esame sottolineano il rilievo che esso assume nell’ambito del processo penale minorile, evidenziandone la stretta aderenza alla essenziale finalità di recupero del minore deviante, mediante la sua rieducazione e il suo reinserimento sociale (anche attraverso l’attenuazione dell’offensività del processo), cui la giustizia minorile deve essere improntata, in ossequio al principio della tutela dei minori di cui all’art. 31 della Costituzione.

Tali esigenze erano, del resto, ben presenti al legislatore delegante, il quale, nel dettare l’art. 3 della Legge n. 81 del 1987, aveva prescritto, nella prima parte, che la disciplina del processo minorile dovesse rispettare i principi generali del nuovo processo penale, ma “con le modificazioni ed integrazioni imposte dalle particolari condizioni psicologiche del minore, dalla sua maturità e dalle esigenze della sua educazione“; e poi, nella direttiva di cui alla lettera e), da cui specificamente trae origine l’istituto in esame, aveva stabilito il “dovere del giudice di valutare compiutamente la personalità del minore sotto l’aspetto psichico, sociale e ambientale, anche ai fini dell’apprezzamento dei risultati degli interventi di sostegno disposti”; la “facoltà del giudice di sospendere il processo per un tempo determinato, nei casi suddetti”; nonché la “sospensione in tal caso del corso della prescrizione“.

La messa alla prova, in conclusione, costituisce, nell’ambito degli istituti di favore tipici del processo penale a carico dei minorenni, uno strumento particolarmente qualificante, rispondendo, forse più di ogni altro, alle indicate finalità della giustizia minorile.

In coerenza con le menzionate caratteristiche ed in linea con le citate direttive della delega, il legislatore non ha condizionato il provvedimento de quo alla prestazione del consenso da parte del minore (né del pubblico ministero), ma ha rimesso al giudice la decisione circa l’opportunità di sospendere il processo al fine di valutare la personalità del minorenne all’esito della prova, prescrivendo soltanto che tale decisione sia adottata “sentite le parti“.

D’altro canto, il comma 3 dell’art. 28 del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 prevede che “contro l’ordinanza possono ricorrere per cassazione il pubblico ministero, l’imputato e il suo difensore“. Pertanto, (a prescindere dall’indubbio “peso” che, in considerazione della natura e delle modalità di attuazione della misura, deve in concreto assegnarsi al parere del minore in ordine all’adozione del provvedimento), all’imputato è attribuito dalla norma ora citata un mezzo di impugnazione con riguardo a tutti i possibili vizi di legittimità o di motivazione dell’ordinanza che dispone la misura: tra i quali rientra anche il profilo attinente alla sussistenza di un presupposto concettuale essenziale del provvedimento (come unanimemente ritengono la dottrina e la giurisprudenza), connesso ad esigenze di garanzia dell’imputato, costituito da un giudizio di responsabilità penale che si sia formato nel giudice, in quanto altrimenti si imporrebbe il proscioglimento.

Secondo la giurisprudenza di legittimità, sono impugnabili anche le ordinanze di diniego della misura, e ciò sia in base alla lettera della legge, sia alla ratio dell’istituto, tendente a limitare al massimo il contatto traumatico tra il minore e il processo penale.

In riferimento al giudizio abbreviato e al giudizio immediato il comma 4 dell’art. 28 del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 stabilisce che “la sospensione non può essere disposta se l’imputato chiede il giudizio abbreviato o il giudizio immediato“. La norma impedisce al giudice di adottare il provvedimento di sospensione del processo e di messa alla prova qualora l’imputato minorenne formuli richiesta di giudizio abbreviato o immediato.

La giurisprudenza costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di tale comma nella parte in cui prevede che la sospensione non può essere disposta se l’imputato chiede il giudizio abbreviato o immediato.

A parere della giurisprudenza costituzionale la norma appare viziata da irragionevolezza, in quanto non si comprende per quale motivo al minore, che sia stato ammesso al giudizio abbreviato, debba poi essere negato di chiedere la messa alla prova, con il connesso eventuale beneficio della sentenza dichiarativa della estinzione del reato. Non sussiste certamente, del resto, alcuna sorta di incompatibilità strutturale, ontologica, tra l’istituto di cui trattasi e il rito abbreviato, il quale si svolge secondo le norme previste per l’udienza preliminare.

Inoltre, la denunciata preclusione contrasta anche con gli artt. 31, secondo comma, e 24 della Costituzione, in quanto impedisce, senza che siano ravvisabili motivi ragionevoli, di dare ingresso ad una misura particolarmente significativa  sotto l’aspetto rieducativo ed avente riflessi sostanziali di natura premiale. Tali considerazioni in ordine alla irragionevolezza, nonché al contrasto con i precetti di cui agli artt. 31, secondo comma, e 24 della Costituzione, della preclusione a seguito di richiesta di giudizio abbreviato, valgano in pari misura pure per la richiesta di giudizio immediato.

Corte Costituzionale sent. 14.4.1995, n. 125

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