Dafne era una giovane e bella ninfa, figlia di Gea e del fiume Peneo, viveva serena passando il suo tempo felicemente nei boschi, deliziandosi del piacere della caccia; fin quando due divinità, Apollo e Eros, discussero tra loro.
Racconta la leggenda che Apollo, avendo appena ucciso il mostruoso serpente Pitone, incontrato Eros, intento a costruire un nuovo arco, si prese gioco di lui, lodando se stesso e le sue imprese, sottolineando il fatto che Eros non avesse mai compiuto delle gesta degne di gloria.
Eros rimase profondamente ferito dalle parole di Apollo, così decise di vendicarsi, volò sul monte Parnaso, prese due frecce, una appuntita e dorata che scagliò contro Apollo scatenando in lui una passione irrefrenabile verso la ninfa Dafne , l’altra senza punta e di piombo che scagliò contro la stessa, scatenando in lei una profonda repulsione e paura nei confronti di Apollo, che la portò a scappare dal dio, a correre nei boschi, ad invocare l’aiuto della madre Gea, pregandola di salvarla e di mutare il suo aspetto.
La madre Gea ascoltò la sua preghiera, rallentò la corsa della figlia, fino a fermarla e la trasformò in un leggiadro e forte albero di LAURO (dal greco dafne-lauro). La trasformazione avvenne sotto gli occhi di Apollo, il quale disperato, abbracciava, il tronco nella speranza di ritrovare la dolce Dafne, alla fine il dio, considerati vani tutti i suoi tentativi, proclamò a gran voce, la pianta d’alloro sacra al suo culto e segno di gloria da porre sul capo dei vincitori.
Così ancora oggi, in ricordo di Dafne, si è soliti proclamare i migliori fra gli uomini con il capo cinto da una corona di alloro.
Molte sono state le riproduzioni in arte del mito sia in pittura sia in scultura, a questo proposito parliamo dell’opera di Bernini APOLLO E DAFNE, terminata nell’autunno del 1625 per il Cardinale Borghese, che diventerà uno dei capolavori della scultura di ogni tempo.
Anche qui Bernini sceglie di rappresentare l’apice del mito, il punto estremo in cui Dafne pur di liberarsi dalla bramosia amorosa di Apollo, si trasforma in un albero di alloro; Bernini fa in modo che lo spettatore si senta coinvolto, utilizzando quella stessa empatia, che inevitabilmente prova per i due protagonisti del dramma.
Empatia resa, dalla capacità straordinaria del Bernini di intagliare la pietra quasi a renderla carne, come nel Ratto di Proserpina; Bernini blocca per sempre nel marmo un fotogramma esatto, un attimo estremo: Apollo lanciato in una corsa spasmodica proteso verso il bellissimo corpo di Dafne che a sua volta, urla sconvolta, un po’ per la presa di Apollo un po’ per la trasformazione che la coglie; il suo corpo muta, rami spuntano dalle dita, il tronco le cresce intorno al corpo, i capelli diventano foglie e i piedi radici.
Questa scultura è soprattutto un illusione di vitalità, sembra assolutamente che si muova; nell’autunno del 1625 vengono registrati gli ultimi pagamenti per la statua e fu realizzato il piedistallo. Alcune incisioni antiche dimostrano poi che il punto di vista pensato da Bernini è quello che privilegia il lato destro del gruppo, inoltre proprio sul piedistallo si possono trovare due versi latini composti da Maffeo Barberini che ricordano “chiunque insegue il piacere di una forma fugace, resta con un pugno di foglie in mano, o al massimo coglie delle bacche amare”.