Arsenio
I turbini sollevano la polvere
sui tetti, a mulinelli, e sugli spiazzi
deserti, ove i cavalli incappucciati
annusano la terra, fermi innanzi
ai vetri luccicanti degli alberghi.
Sul corso, in faccia al mare, tu discendi
in questo giorno
or piovorno ora acceso, in cui par scatti
a sconvolgerne l’ore
uguali, strette in trama, un ritornello
di castagnette.
È il segno d’un’altra orbita: tu seguilo.
Discendi all’orizzonte che sovrasta
una tromba di piombo, alta sui gorghi,
più d’essi vagabonda: salso nembo
vorticante, soffiato dal ribelle
elemento alle nubi; fa che il passo
su la ghiaia ti scricchioli e t’inciampi
il viluppo dell’alghe: quell’istante
è forse, molto atteso, che ti scampi
dal finire il tuo viaggio, anello d’una
catena, immoto andare, oh troppo noto
delirio, Arsenio, d’immobilità…
Ascolta tra i palmizi il getto tremulo
dei violini, spento quando rotola
il tuono con un fremer di lamiera
percossa; la tempesta è dolce quando
sgorga bianca la stella di Canicola
nel cielo azzurro e lunge par la sera
ch’è prossima: se il fulmine la incide
dirama come un albero prezioso
entro la luce che s’arrosa: e il timpano
degli tzigani è il rombo silenzioso
Discendi in mezzo al buio che precipita
e muta il mezzogiorno in una notte
di globi accesi, dondolanti a riva, –
e fuori, dove un’ombra sola tiene
mare e cielo, dai gozzi sparsi palpita
l’acetilene –
finchè goccia trepido
il cielo, fuma il suolo che t’abbevera,
tutto d’accanto ti sciaborda, sbattono
le tende molli, un fruscio immenso rade
la terra, giù s’afflosciano stridendo
le lanterne di carta sulle strade.
Cosí sperso tra i vimini e le stuoie
grondanti, giunco tu che le radici
con sè trascina, viscide, non mai
svelte, tremi di vita e ti protendi
a un vuoto risonante di lamenti
soffocati, la tesa ti ringhiotte
dell’onda antica che ti volge; e ancora
tutto che ti riprende, strada portico
mura specchi ti figge in una sola
ghiacciata moltitudine di morti,
e se un gesto ti sfiora, una parola
ti cade accanto, quello è forse, Arsenio,
nell’ora che si scioglie, il cenno d’una
vita strozzata per te sorta, e il vento
la porta con la cenere degli astri.
(Arsenio poesia tratta da “Meriggi e ombre” sezione inserita nella omonima raccolta “Ossi di seppia”, pubblicata il 15 giugno 1925 a Torino)
Eugenio Montale (Genova, 12 Ottobre 1896 – Milano, 12 Settembre 1981) è stato un celebre e rinomato scrittore, filosofo, critico letterario e musicale, annoverato tra le personalità letteraria italiane più importanti del XX secolo.
Tra le sue opere più importanti occorre citare le raccolte poetiche “Ossi di seppia” pubblicata nel 1925, “Le occasioni” pubblicata nel 1939, “Xenia” pubblicata nel 1966, “Satura” pubblicata nel 1971, “Il Diario del ’71 e del ’72” pubblicato nel 1973.
Ossi di seppia comprende ventitré liriche, divise in otto sezioni: Movimenti, Poesie per Camillo Sbarbaro, Sarcofaghi, Altri versi, Ossi di seppia, Mediterraneo, Meriggi e ombre; a questi si deve aggiungere un’introduzione (In limine) e una conclusione (Riviere). In particolare fanno parte le seguenti liriche:
In limine
Godi se il vento ch’entra nel pomario
Movimenti
I limoni
Corno inglese
Quasi una fantasia
Falsetto
Minstrels
Poesie per Camillo Sbarbaro
Sarcofaghi
Dove se ne vanno le ricciute donzelle
Ora sia il tuo passo
Il fuoco che scoppietta
Ma dove cercare la tomba
Altri versi
Vento e bandiere
Fuscello teso dal muro
Ossi di seppia
Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
Meriggiare pallido e assorto
Non rifugiarti nell’ombra
Ripenso il tuo sorriso, ed è per me un’acqua limpida (dedicata a Boris Kniaseff)
A Lucia Dubini
Mia vita, a te non chiedo lineamenti
Portami il girasole ch’io lo trapianti
Spesso il male di vivere ho incontrato
Ciò che di me sapeste
Là fuoriesce il Tritone
So l’ora in cui la faccia più impassibile
Gloria del disteso mezzogiorno
Felicità raggiunta, si cammina
Il canneto rispunta i suoi cimelli
Forse un mattino andando in un’aria di vetro
Valmorbia, discorrevano il tuo fondo
Tentava la vostra mano la tastiera
La farandola dei fanciulli sul greto
Debole sistro al vento
Cigola la carrucola del pozzo
Arremba su la strinata proda
Upupa, ilare uccello calunniato
Sul muro grafito
Mediterraneo
A vortice s’abbatte
Antico, sono ubriacato dalla voce
Scendendo qualche volta
Ho sostato talvolta nelle grotte
Giunge a volte repente
Noi non sappiamo quale sortiremo
Avrei voluto sentirmi scabro ed essenziale
Potessi almeno costringere
Dissipa tu se lo vuoi
Meriggi e ombre
Fine dell’infanzia
L’agave sullo scoglio
Vasca
Egloga
Flussi
Clivo
Arsenio
Crisalide
Marezzo
Casa sul mare
I morti
Delta
Incontro
Riviere
Riviere