Condotta vessatoria tenuta ai danni di un parente
La condotta vessatoria è tenuta ai danni di un parente o di una persona legata da un vincolo affettivo costruito sul modello parentale può essere qualificata a norma dell’art. 572 cod. pen.?
La giurisprudenza non ha inteso affermare che qualunque condotta vessatoria tenuta ai danni di un parente (o di una persona legata da un vincolo affettivo costruito sul modello parentale) può essere qualificata a norma dell’art. 572 cod. pen.
Ha riconosciuto, piuttosto, che le situazioni familiari o parafamiliari costituiscono un ambito all’interno del quale sono possibili rapporti di subordinazione psicologica o di vessazione che trovano fondamento proprio nel vincolo nascente dalla relazione familiare, la quale in certo senso costituisce l’occasione della condotta prevaricatrice e l’oggetto di un abuso compiutone dall’agente.
Ove la dinamica familiare resti inalterata, in termini di attualità del vincolo “abusato“, l’interruzione della convivenza non esclude la possibile prosecuzione o l’avvio di una condotta di maltrattamenti (in questi termini, sostanzialmente, Sez. 6, Sentenza n. 282 del 26/01/1998, rv. 210838).
Del resto, l’orientamento consolidato che, anche prima della recente riforma, ha esteso alle comunità non fondate sul matrimonio la tutela apprestata dalla norma de qua si fonda proprio sulla centralità che assume, nell’economia della fattispecie, lo stabile vincolo affettivo ed umano da proteggere contro fenomeni di sopraffazione (ad esempio Sez. 3, Sentenza n. 8953 del 03/07/1997, rv. 208444; Sez. 5, Sentenza n. 24688 del 17/03/2010, rv. 248312; Sez. 6, Sentenza n. 23830 del 07/05/2013, rv. 256607).
Non a caso, proprio trattando dell’ipotesi di separazione intervenuta tra i coniugi, la Corte ha avuto cura di precisare come l’integrazione del reato resti possibile se e quando “l’attività persecutoria si valga proprio o comunque incida su(i) vincoli che, rimasti intatti a seguito del provvedimento giudiziario, pongono la parte offesa in posizione psicologica subordinata (fattispecie nella quale il marito separato pure dinanzi a terzi percuoteva abitualmente e minacciava la moglie di ritorsioni gravi sul figlio minore)” (Sez. 6, Sentenza n. 10023 del 07/10/1996, rv. 206399).
È dunque evidente che non ogni reato commesso con continuità nei confronti di un parente, quand’anche provochi un penoso regime di vita, può essere qualificato a norma dell’art. 572 cod. pen.
L’integrazione del delitto di cui all’art. 572 cod. pen. dovrà essere verificata in base al principio che, sul piano obiettivo, è necessaria l’attualità di una relazione familiare intesa come vincolo affettivo e produttivo di doveri di solidarietà ed assistenza e che, sul piano soggettivo, l’agente deve volere la produzione del regime di vita segnato dalla vessazione nella sua specifica qualità di patologica relazione familiare.
Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 18 marzo – 15 luglio 2014, n. 31123