La Disponibilità delle prove trova una disciplina giuridica nel dispositivo di cui all’art. 115 C.p.C.:
Salvi i casi previsti dalla legge, il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero nonché i fatti non specificatamente contestati dalla parte costituita.
Il giudice può tuttavia, senza bisogno di prova, porre a fondamento della decisione le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza.
La Valutazione delle prove trova una disciplina giuridica nel dispositivo di cui all’art. 116 C.p.C.:
Il giudice deve valutare le prove secondo il suo prudente apprezzamento, salvo che la legge disponga altrimenti.
Il giudice può desumere argomenti di prova dalle risposte che le parti gli danno a norma dell’articolo seguente, dal loro rifiuto ingiustificato a consentire le ispezioni che egli ha ordinate e, in generale, dal contegno delle parti stesse nel processo.
La violazione dell’art. 115 C.p.C., può essere ipotizzata come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha deciso la causa sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre; mentre la violazione dell’art. 116 C.p.C., è idonea ad integrare il vizio di legittimità, denunciabile per cassazione, solo quando il giudice di merito abbia disatteso il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale, e non per lamentare che lo stesso abbia male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova (Cass. Sez. 3, 10/06/2016, n. 11892).
E’ risaputo, inoltre, che, in tema di ricorso per cassazione, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 C.p.C. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorché si alleghi che quest’ultimo abbia posto alla base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass., n. 27000/2026 – Cass., n. 1229/2019).
Inoltre come rilevato dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 11606/2018) in materia di efficacia probatoria dei documenti informatici, il messaggio di posta elettronica (c.d. email) costituisce un documento elettronico che contiene la rappresentazione informatica di atti o dati giuridicamente rilevanti che, seppure privo di firma, rientra tra le riproduzioni informatiche e le rappresentazioni meccaniche di cui all’art. 2712 C.c. e, pertanto, forma piena prova dei fatti e delle cose rappresentate se colui contro il quale viene prodotto non ne disconosca la conformità ai fatti o alle cose medesime.
Ai sensi del D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, art. 1, comma 1, lett. p), (Codice dell’amministrazione digitale), la e-mail costituisce un “documento informatico“, ovvero un “documento elettronico che contiene la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti“. L’e-mail, pertanto, seppur priva di firma, rientra tra le riproduzioni informatiche, ovvero fra le rappresentazioni meccaniche indicate, con elencazione non tassativa, dall’art. 2712 C.c. e dunque forma piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, se colui contro il quale viene prodotta non ne disconosca la conformità ai fatti o alle cose medesime (arg. già da Cass. Sez. 3, 24/11/2005, n. 24814).