Incapacità a testimoniare
(art. 246 Codice di procedura civile)
Non possono essere assunte come testimoni le persone aventi nella causa un interesse che potrebbe legittimare la loro partecipazione al giudizio.
Invero, “L’incapacita’ a testimoniare prevista dall’articolo 246 c.p.c. si verifica solo quando il teste e’ titolare di un interesse personale, attuale e concreto, che lo coinvolga nel rapporto controverso, alla stregua dell’interesse ad agire di cui all’articolo 100 c.p.c., tale da legittimarlo a partecipare al giudizio in cui e’ richiesta la sua testimonianza, con riferimento alla materia in discussione, non avendo, invece, rilevanza l’interesse di fatto a un determinato esito del processo – salva la considerazione che di cio’ il giudice e’ tenuto a fare nella valutazione dell’attendibilità del teste – ne’ un interesse, riferito ad azioni ipotetiche, diverse da quelle oggetto della causa in atto, proponibili dal teste medesimo o contro di lui, a meno che il loro collegamento con la materia del contendere non determini già concretamente un titolo di legittimazione alla partecipazione al giudizio.” (Cass. n. 167 del 05/01/2018).
A tal guisa opportuno rimarcare che “La capacità a testimoniare differisce dalla valutazione sull’attendibilità del teste, operando le stesse su piani diversi, atteso che l’una, ai sensi dell’articolo 246 c. p. c., dipende dalla presenza di un interesse giuridico (non di mero fatto) che potrebbe legittimare la partecipazione del teste al giudizio, mentre la seconda afferisce alla veridicità della deposizione che il giudice deve discrezionalmente valutare alla stregua di elementi di natura oggettiva (la precisione e completezza della dichiarazione, le possibili contraddizioni, ecc.) e di carattere soggettivo (la credibilità della dichiarazione in relazione alle qualità personali, ai rapporti con le parti ed anche all’eventuale interesse ad un determinato esito della lite), con la precisazione che anche uno solo degli elementi di carattere soggettivo, se ritenuto di particolare rilevanza, può essere sufficiente a motivare una valutazione di inattendibilità.” (Cass. n. 21239 del 09/08/2019; Cass. n. 26547 del 30/09/2021); in particolare, quanto alla credibilità del teste, va osservato che “In materia di prova testimoniale, la verifica in ordine all’attendibilità del teste – che afferisce alla veridicità della deposizione resa dallo stesso – forma oggetto di una valutazione discrezionale che il giudice compie alla stregua di elementi di natura oggettiva (la precisione e completezza della dichiarazione, le possibili contraddizioni, ecc.) e di carattere soggettivo (la credibilità della dichiarazione in relazione alle qualità personali, ai rapporti con le parti ed anche all’eventuale interesse ad un determinato esito della lite), con la precisazione che anche uno solo degli elementi di carattere soggettivo, se ritenuto di particolare rilevanza, può essere sufficiente a motivare una valutazione di inattendibilità.” (Cass. n. 7623 del 18/04/2016).
Orbene, si conferma il principio secondo il quale “In tema di prova testimoniale, l’insussistenza, per effetto della decisione della Corte Cost. n. 248 del 1994, del divieto di testimoniare sancito per i parenti dall’articolo 247 c.p.c. non consente al giudice di merito un’aprioristica valutazione di non credibilità delle deposizioni rese dalle persone indicate da detta norma, ma neppure esclude che l’esistenza di uno dei vincoli in essa indicati possa, in concorso con ogni altro utile elemento, essere considerato dal giudice di merito la cui valutazione non e’ censurabile in sede di legittimità, ove motivata – ai fini della verifica della maggiore o minore attendibilità delle deposizioni stesse.” (Cass. n. 98 del 04/01/2019; Cass. n. 17630 del 28/07/2010)
Corte di Cassazione Sez. 1, Sentenza n. 34950 del 28/11/2022