Principio di determinatezza: art. 612 bis C.p.

principio di determinatezzaLa Corte Costituzionale con la sentenza che si riporta in commento si pronuncia in merito al fatto se l’art. 612-bis C.p. che punisce “chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita”, soddisfi o meno il principio di determinatezza delle fattispecie penali, garantito dall’art. 25, secondo comma, Costituzione.

A parere della giurisprudenza costituzionale, per verificare il rispetto del principio di determinatezza, occorre “non già valutare isolatamente il singolo elemento descrittivo dell’illecito, bensì collegarlo con gli altri elementi costitutivi della fattispecie e con la disciplina in cui questa s’inserisce”.

La valutazione dovrà essere volta ad accertare, da una parte, la intelligibilità del precetto in base alla sua formulazione linguistica e, dall’altra, la verificabilità del fatto, descritto dalla norma incriminatrice, nella realtà dei comportamenti sociali.

La fattispecie di cui all’art. 612-bis C.p. si configura come specificazione delle condotte di minaccia o di molestia già contemplate dal codice penale agli artt. 612 e 660.

La lunga tradizione applicativa di tali fattispecie in sede giurisdizionale, da un lato agevola l’interpretazione della disposizione oggi sottoposta a giudizio e, dall’altro, offre la riprova che la descrizione legislativa corrisponde a comportamenti effettivamente riscontrabili nella realtà.

Invero, il principio di determinatezza della fattispecie non coincide necessariamente con il carattere più o meno descrittivo della stessa, ben potendo la norma incriminatrice fare uso di una tecnica esemplificativa, oppure riferirsi a concetti extragiuridici diffusi.

Il principio di determinatezza non esclude, infatti, l’ammissibilità di formule elastiche, alle quali il legislatore deve ricorrere stante la “impossibilità pratica di elencare analiticamente tutte le situazioni astrattamente idonee a “giustificare” l’inosservanza del precetto”.

In relazione ai diversi elementi che integrano il reato di cui all’art. 612-bis C.p., viene anzitutto in rilievo la reiterazione di condotte minacciose o moleste, idonee alternativamente a cagionare un “perdurante e grave stato di ansia o di paura” ovvero a ingenerare un “fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva” ovvero a costringere lo stesso ad alterare le “proprie abitudini di vita“.

Il concetto di “reiterazione” chiarisce che sono necessarie almeno due condotte di minacce o molestia e le medesime devono anche essere idonee a cagionare uno dei tre eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice.

Quanto al “perdurante e grave stato di ansia e di paura” e al “fondato timore per l’incolumità“, trattandosi di eventi che riguardano la sfera emotiva e psicologica, essi debbono essere accertati attraverso un’accurata osservazione di segni e indizi comportamentali, desumibili dal confronto tra la situazione pregressa e quella conseguente alle condotte dell’agente, che denotino una apprezzabile destabilizzazione della serenità e dell’equilibrio psicologico della vittima.

L’aggettivazione, inoltre, in termini di “grave e perdurante” stato di ansia o di paura e di “fondato” timore per l’incolumità, vale a circoscrivere ulteriormente l’area dell’incriminazione, in modo che siano doverosamente ritenute irrilevanti ansie di scarso momento, sia in ordine alla loro durata sia in ordine alla loro incidenza sul soggetto passivo, nonché timori immaginari o del tutto fantasiosi della vittima.

Infine, il riferimento del legislatore alle abitudini di vita costituisce un chiaro e verificabile rinvio al complesso dei comportamenti che una persona solitamente mantiene nell’ambito familiare, sociale e lavorativo, e che la vittima è costretta a mutare a seguito dell’intrusione rappresentata dall’attività persecutoria, mutamento di cui l’agente deve avere consapevolezza ed essersi rappresentato, trattandosi di reato punibile solo a titolo di dolo.

Corte Costituzionale sentenza n. 172/2014

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *