Alberto Burri: la serie innovativa dei “sacchi”

Alberto Burri (1915 – 1995) è l’artista italiano che, assieme a Lucio Fontana, ha dato il maggior contributo al panorama artistico internazionale in questo secondo dopoguerra.

La sua ricerca artistica, spaziando tra pittura e scultura, è indirizzata all’indagine sulle qualità espressive della materia. Pertanto occupa un posto di primissimo piano nel campo dell’Informale.

Alberto Burri nasce a Città di Castello (Umbria) e si laurea in medicina nel 1940. Parte per la guerra e viene fatto prigioniero dagli inglesi a Tunisi nel 1943. Viene trasferito dagli americani in un campo prigionia nel Texas ove inizia la sua attività artistica.

Una volta tornato in Italia, abbandona la medicina per dedicarsi esclusivamente all’arte. Alberto Burri sperimenta opere che lo pongono all’attenzione della critica quali le “muffe”, i “catrami” e i “gobbi” eseguite tra la fine degli anni ’40 e l’inizio degli anni ’50 prevalentemente a carattere pittorico.

Sono quadri con olio, smalti sintetici, catrami e pietra pomice mentre alla serie “i gobbi”, plasmando la superficie con supporti in legno, pone maggiormente l’accento su forme plastiche.

Ma la sua fama la ottiene con la serie dei “sacchi” verso la metà degli anni ’50, incollando sulla tela dipinta uniformemente di un unico colore (nero, rosso,ecc) dei sacchi di juta. Sono sacchi dall’aspetto molto povero e disunto, logori e pieni di rammendi e cuciture dalla forza espressiva graffiante. Fecero molto scalpore in un clima culturale di pessimismo esistenzialistico, divenendo presto dei “classici dell’arte”.

La definitiva consacrazione di Alberto Burri  a livello internazionale avviene con alcune mostre in America tra il 1953 ed il 1955.

Dal 1955 al 1957 si dedica alla ricerca di nuove sperimentazioni con nuovi materiali quali camicie e stoffe diverse dai sacchi ma sempre nell’ottica costante della sublimazione dei rifiuti, ove ne evidenzia tutta la carica poetica come residui solidi dell’esistenza umana.

Dal 1957 in poi, Alberto Burri con la serie delle “combustioni” compie una svolta significativa in campo artistico poiché introduce il fuoco tra i suoi strumenti tecnici.

Brucia piastre e legni, plastiche e stoffe nella poetica primordiale del fuoco che accelera la corrosione della materia.

Il suo concetto di “consunzione” raggiunge l’apoteosi con i “cretti” realizzati dagli anni ’70 in poi con miscele di caolini, pigmenti e vinavil su cellotex, tutte in bianco o nero, dall’aspetto di terra essiccata, cioè devitalizzata dalla mancanza di acqua e, pertanto, lasciata come residuo solido di una forma di vita definitivamente scomparsa dal cosmo.

Nella sua opera l’arte interviene dopo, cioè dopo che i materiali sono già stati usati e consumati. E ci fanno riflettere sulla vita di essi prima di essere morti e riportati staticamente in vita utilizzando la loro simbologia attraverso opere d’arte.

Il modo di interpretare l’arte di Alberto Burri ha drasticamente cambiato il concetto della sua generazione rimettendo in discussione perenne l’origine stessa nel rapporto con la vita.

Non più come funzione mimetica che imita la vita, ma illustrazione della vita con la sincerità della vita stessa.

Ricordiamo alcune sue famose opere: Sacco e Rosso, (1954 – Tate Gallery di Londra), SZ1 (1949), Two shirts (1957), Grande ferro (1959), Rosso plastica (1964) e Cretto G.1 (1975).

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *