La Cappella da Sylva, simbolo dell’architettura e della pittura del barocco seicentesco, si trova all’interno della Chiesa di Sant’Isidoro a Capo le Case, (chiesa nazionale irlandese) sita in Via degli Artisti a Roma, non distante dalla più celebre Via Veneto, nel rione Ludovisi.
La Cappella da Sylva, situata a destra dell’altare maggiore, è stata realizzata nel 1663 in marmi policromi per volere del nobile portoghese Rodrigo Lopez de Sylva, Cavaliere dell’Ordine di San Giacomo, che la commissione a Gian Lorenzo Bernini, ma in realtà quest’ultimo si limita al disegno della Cappella mentre l’esecuzione avviene tra 1661 e il 1663 ad opera dei suoi stretti collaboratori e allievi, in particolare Paolo Naldini e Giulio Cartari.
La Cappella da Sylva custodisce al suo interno una serie di importanti opere d’arte, bassorilievi, sculture, statue e affreschi; sull’altare è conservato il dipinto ovale raffigurante l’”Immacolata Concezione” di Carlo Maratta (databile 1663), autore anche delle decorazioni contenute nella prima cappella sul lato destro, Cappella di San Giuseppe o Cappella della famiglia di Sherlock di Waterford, con il dipinto posto sull’altare raffigurante “Lo Sposalizio della Vergine“, la “Fuga in Egitto“, lato sinistro, e il “Sogno di San Giuseppe morente“, lato destro, (tutti databili 1652 circa).
Sulle pareti laterali della Cappella da Sylva sono conservate le allegorie di marmo poste tra i monumenti funebri della famiglia da Sylva, e raffigurano la “Pace” e la “Giustizia“, sulla parete di destra, entrambe opere di Paolo Naldini, mentre quelle poste sulla parete di sinistra, la “Carità” (che offre il latte dal seno) e la “Verità” con il bassorilievo di Rodrigo e della moglie Beatriz da Silveira, sono opera di Giulio Cartari, a cui sono attribuiti anche i putti che sorreggono la pala d’altare del Maratta.
Le statue sono state oggetto di censura nel 1863 (unico caso di censura applicata ad un lavoro del Bernini), in quanto per la loro nudità sono state ritenute scandalose e, per tale ragione sono state ricoperte con delle camicie di bronzo dipinte, successivamente eliminate nel corso del restauro del 2002.