Chat whatsapp. Contestazione di diffamazione aggravata?
Inoltrare un commento lesivo della reputazione altrui in una chat whatsapp integra la contestazione di diffamazione aggravata?
O per converso la natura “privata” dei messaggi scambiati in una chat chiusa, implica l’assenza di rilevanza penale dei medesimi per mancanza dei requisiti tipici della condotta diffamatoria?
Sul punto si discute sulla sussistenza della circostanza aggravante del “mezzo di pubblicità“, aggravante che determina la procedibilità di ufficio.
Ed invero, si intende dare continuità – sotto tale profilo – ai contenuti del recente arresto Sez. I n. 37618 del 19.5.2023, rv 285248. Nella citata decisione si è affermato, in particolare, che: [..] la ratio della aggravante va individuata nella «particolare diffusività» del mezzo utilizzato (caratteristica obiettiva della stampa), sicché l’offesa tende, in virtù delle particolari modalità realizzative, a raggiungere un numero cospicuo e indeterminato di persone.
Indubbiamente l’evoluzione tecnologica ha consentito di ampliare le forme di comunicazione tramite la rete internet, da ritenersi tendenzialmente uno strumento che rientra nella previsione di legge ove si evocano altri mezzi di pubblicità.
Ciò avviene, in particolare, quando un contenuto lesivo viene reso «pubblico» su un qualsiasi sito internet ad accesso libero. La libertà dell’accesso al sito che contiene la comunicazione diffamatoria è esattamente parificabile alla scelta di consultazione di una stampa cartacea, sicché nessuna questione può porsi in tema di rispetto del principio di tassatività. Tuttavia, gli strumenti di comunicazione digitale non sono tutti uguali e non funzionano tutti nel medesimo modo. In particolare una chat dell’applicativo Whatsapp è, per le sue caratteristiche ontologiche, uno strumento di comunicazione di certo ‘agevolante‘ ma al contempo ‘ristretto‘, nel senso che il messaggio (di testo o immagine che sia) raggiunge esclusivamente i soggetti iscritti (e reciprocamente accettatisi) alla medesima chat.
La giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che la pubblicazione di post lesivi sulla piattaforma social Whatsapp integri l’aggravante del mezzo di pubblicità.
Vanno in tal senso indicate le decisioni Sez. I n. 55142 del 2014 e Sez. V n. 13979 del 25.1.2021, rv 281023, ove si pone l’accento sulla oggettiva potenzialità che, in tal caso, ha il testo lesivo di raggiungere un numero indeterminato o comunque quantitativamente apprezzabile di persone.
Tuttavia vi è una rilevante diversità – esclusivamente ai fini della integrazione della particolare aggravante – tra l’utilizzo di un social (strumento che si rivolge – per definizione – ad una ampia platea di persone previamente abilitate dal titolare della pagina a consultarne i contenuti, con possibilità di riproporre i testi o le immagini sulla propria bacheca, sì da dare luogo di fatto ad una forma di diffusione incontrollata) e l’utilizzo di una chat di messaggistica ristretta.
Ad essere rilevante, invero, non è il numero di iscritti alla chat quanto la «conformazione tecnica» del mezzo, tesa a realizzare uno scambio di comunicazioni che resta – in tutta evidenza – riservato.
La diffusione del messaggio a più soggetti – gli iscritti alla chat – avviene, in altre parole, in un contesto informatico che se da un lato consente la rapida divulgazione del testo dall’altro non determina la perdita di una essenziale connotazione di riservatezza della comunicazione, destinata ad un numero identificato e previamente accettato di persone. La tensione con il principio di tassatività in ambito penale, ove si voglia realizzare una equiparazione tra i diversi strumenti comunicativi, in rapporto ad una previsione di legge ove si evoca un ‘mezzo di pubblicità‘, appare del tutto evidente [..].
Corte di Cassazione penale sez. I, sentenza 21 novembre 2024, n. 42783