Discriminazione del lavoro a tempo parziale
Nel caso di specie alla lavoratrice a tempo parziale, nella valutazione dell’anzianità di servizio ai fini della progressione economica, le venne attribuito un punteggio ridotto in proporzione al minor numero di ore di lavoro svolte rispetto ai colleghi con pari anzianità, ma impiegati tempo pieno.
Tale riduzione del punteggio attribuito per l’anzianità di servizio ha comportato una discriminazione della lavoratrice a tempo parziale, contraria a quanto dispone il decreto legislativo n. 61 del 2000 (con cui la Repubblica italiana ha dato attuazione alla direttiva 97/81/CE relativa all’accordo-quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES), e anche, indirettamente, una discriminazione di genere, in violazione dell’art. 25, comma 2, del d.lgs. n. 198 del 2006, perché al rapporto di lavoro a tempo parziale ricorrono in grande maggioranza le donne lavoratrici.
Nel caso di specie è in discussione la valutazione del servizio pregresso al fine del giudizio sul merito comparativo per attribuire una progressione economica. E, in proposito, merita di essere ribadito ciò che la Corte di legittimità ha già avuto modo di statuire proprio con riguardo alla medesima selezione interna che è oggetto di causa anche nel presente processo: «l’obiettivo di apprezzare in misura puntuale l’esperienza di servizio è in sé legittimo. Occorre, tuttavia, rammentare, in relazione al giudizio di adeguatezza e necessità dei mezzi impiegati, che, come risulta da giurisprudenza costante della Corte di Giustizia, “l’affermazione secondo la quale sussiste un nesso particolare tra la durata di un’attività professionale e l’acquisizione di un certo livello di conoscenze o di esperienze non consente di elaborare criteri oggettivi ed estranei ad ogni discriminazione. Infatti, sebbene l’anzianità vada di pari passo con l’esperienza, l’obiettività di un siffatto criterio dipende dal complesso delle circostanze del caso concreto, segnatamente dalla relazione tra la natura della funzione esercitata e l’esperienza che l’esercizio di questa funzione apporta a un certo numero di ore di lavoro effettuate” (in termini: Corte di Giustizia, sent. 3 ottobre 2019 cit., punto 39)» (Cass. n. 21801/2021).
In altri termini, non può esserci alcun automatismo tra riduzione dell’orario di lavoro e riduzione dell’anzianità di servizio da valutare ai fini delle progressioni economiche.
Occorre invece verificare se, in base alle circostanze del caso concreto (tipo di mansioni svolte, modalità di svolgimento, ecc.), il rapporto proporzionale tra anzianità riconosciuta e ore di presenza al lavoro abbia un fondamento razionale oppure non rappresenti, piuttosto, una discriminazione in danno del lavoratore a tempo parziale. E l’onere della prova dei presupposti di fatto che determinano la razionalità, in tale contesto, del riproporzionamento è a carico del datore di lavoro (v., conf., Cass. n. 10328/2023).
Da questi principi non si è discostata la Corte territoriale nella sentenza impugnata, laddove ha affermato che «Non è … detto che – a parità di anzianità lavorativa – il lavoratore full-time abbia acquisito maggiore esperienza del lavoratore part-time, dipendendo tale preparazione da tante variabili, tra cui anche (ma non solo) la quantità di ore lavorative prestate nel medesimo periodo lavorativo; quantità di ore che tuttavia non assume una rilevanza determinante, essendo sicuramente più importante la qualità delle pratiche seguite dal lavoratore nel corso del rapporto».
Alla sussistenza della discriminazione diretta del lavoro a tempo parziale viene collegata anche la discriminazione indiretta di genere.
È discriminazione indiretta (art. 25, comma 2, d.lgs. n. 198 del 2006) qualsiasi disposizione, criterio, prassi, atto, patto o comportamento che metta, di fatto, «i lavoratori di un determinato sesso in una posizione di particolare svantaggio rispetto a lavoratori dell’altro sesso». La legge non richiede che si tratti di comportamenti o atti illeciti o discriminatori anche sotto altro profilo; guarda soltanto al risultato finale della discriminazione, da apprezzare sul piano della realtà sociale e non solo delle forme giuridiche.
Nel caso di specie, il giudice del merito è ricorso al dato statistico documentato della presenza di donne in stragrande maggioranza tra i dipendenti dell’azienda che chiedono di usufruire del part-time, per concludere che svalutare il part-time ai fini delle progressioni economiche orizzontali (ovverosia progressioni economiche non legate ad avanzamenti di carriera, ma comunque meritate, secondo parametri che includono anche l’anzianità di servizio) significa, nei fatti, penalizzare le donne rispetto agli uomini con riguardo a tali miglioramenti di trattamento economico.
Si può aggiungere che la preponderante presenza di donne nella scelta per il lavoro a tempo parziale è da collegare al notorio dato sociale del tuttora prevalente loro impegno in ambito familiare e assistenziale, sicché la discriminazione nella progressione economica dei lavoratori part-time andrebbe a penalizzare indirettamente proprio quelle donne che già subiscono un condizionamento nell’accesso al mondo del lavoro.
Corte di Cassazione Civile ordinanza Sez. L n. 4313 del 2024