Il Favor minoris e il Favor veritatis nell’azione di disconoscimento della paternità
Nel caso di specie, la Corte distrettuale, dopo aver rilevato che non vi era contrasto fra il favor minoris e il favor veritatis, in quanto l’accertamento del veridico rapporto di filiazione è inteso a garantire al minore il diritto alla propria identità, ha affermato che i rischi per il minore derivanti dal disconoscimento non potevano essere prese in considerazione, in quanto “il contesto affettivo e psicologico non attesta la carenza d’interesse al disconoscimento e risulta avulso dal quadro del “favor legitimitatis”.
Dalla motivazione della decisione impugnata sembra emergere l’affermazione di una sostanziale divaricazione fra il “favor veritatis” e il “favor minoris”, a tal punto che l’interesse del minore (in base alla modifica dell’art. 244 c.c., per effetto del D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, art. 18, infraquattordicenne), apparterrebbe a un contesto diverso dalle valutazioni richieste nel giudizio di disconoscimento della paternità instaurato ai sensi dell’art. 244 c.c., u.c.. Il corollario di tale impostazione è il giudizio di irrilevanza in merito al pregiudizio che il minore avrebbe subito a seguito del disconoscimento, emergente da un accertamento peritale esperito nell’ambito di un parallelo giudizio svoltosi davanti al Tribunale per i Minorenni.
Tale impostazione non può essere condivisa.
Giova premettere, in linea generale, che, come già affermato dalla Corte di legittimità (Cass., 10 aprile 2012, n. 5653; Cass., 30 maggio 2013, n. 13638), sebbene debba ritenersi che il succedersi degli interventi della Corte costituzionale e della stessa Corte segnali una progressiva e lenta affermazione, anche alla luce dei progressi registrati sul piano tecnico e scientifico, nonchè dei mutamenti intervenuti nel quadro normativo e nella stessa sensibilità sociale in tema di rapporti fra filiazione legittima e naturale (nel senso della tendenziale abolizione di ogni pregiudizievole disfavore nei confronti della seconda), del “favor veritatis”, rimane coessenziale all’ordinamento l’esigenza di un bilanciamento, in quanto il superamento della finalità, che permeava l’originaria impostazione legislativa, di preservare lo status di figlio legittimo non elide la necessità di garantire i valori inerenti alla certezza e alla stabilità degli status.
Come questa Corte ha già affermato, pur a fronte di un accentuato favore per una conformità dello status alla realtà della procreazione – chiaramente espresso nel progressivo ampliamento in sede legislativa delle ipotesi di accertamento della verità biologica – il “favor veritatis” non costituisce un valore di rilevanza costituzionale assoluta da affermarsi comunque, atteso che l’art. 30 Cost., non ha attribuito un valore indefettibilmente preminente alla verità biologica rispetto a quella legale, ma, nel disporre al comma 4 che “la legge detta le norme e i limiti per la ricerca della paternità”, ha demandato al legislatore ordinario il potere di privilegiare, nel rispetto degli altri valori di rango costituzionale, la paternità legale rispetto a quella biologica, nonchè di fissare le condizioni e le modalità per far valere quest’ultima, così affidandogli anche la valutazione in via generale della soluzione più idonea per la realizzazione dell’interesse del figlio.
Con riferimento, poi, all’ipotesi in cui l’azione venga promossa, come nella specie, da un curatore speciale ai sensi dell’art. 244 c.c., u.c., vale bene ricordare che la Corte costituzionale in una non recente, ma sempre attuale, pronuncia (Corte cost. n. 429 del 1991), ha affermato che, “se si tratta di un minore di età inferiore ai sedici anni, la ricerca della paternità, pur quando concorrono specifiche circostanze che la fanno apparire giustificata ai sensi dell’art. 235 c.c. o art. 274 c.c., comma 1, non è ammessa ove risulti un interesse del minore contrario alla privazione dello stato di figlio legittimo o, rispettivamente, all’assunzione dello stato di figlio naturale nei confronti di colui contro il quale si intende promuovere l’azione: interesse che dovrà essere apprezzato dal giudice soprattutto in funzione dell’esigenza di evitare che l’eventuale mutamento dello status familiare del minore possa pregiudicarne gli equilibri affettivi e l’educazione”.
Vale bene, a questo punto, sgombrare il campo dalla suggestione che il giudice investito della domanda proposta dal curatore speciale sia esonerato dalla valutazione della rispondenza o meno degli effetti del disconoscimento all’interesse del minore, perchè già effettuata in relazione all’istanza del pubblico ministero in relazione alla nomina del curatore speciale stesso. Tale orientamento, pur desumibile da un risalente arresto di questa Corte (Cass., 5 gennaio 1994, n. 71), deve ritenersi superato al lume delle successive pronunce che hanno affermato la carenza di definitività e decisorietà del provvedimento di nomina del curatore speciale ai sensi dell’art. 244 c.c., u.c., (Cass., 25 novembre 1998, n. 11947), peraltro all’esito di un procedimento in cui soltanto il pubblico ministero assume la qualità di parte (Cass., 11 settembre 2003, n. 13892). Appare di intuitiva evidenza come il giudizio circa la valutazione dell’interesse del minore, ove si consideri anche la rilevanza del principio del contraddittorio e la delicatezza della materia, non possa non conseguire all’esito di un giudizio di cognizione piena, e non possa essere affidato alle valutazioni, all’esito di “sommarie informazioni”, inerenti all’opportunità o meno di procedere alla nomina del curatore speciale, vale a dire al promovimento dell’azione di disconoscimento in nome e per conto del minore. Il rilievo attribuito alla volontà di quest’ultimo, assolutamente inesplorata nella decisione impugnata, emerge dalla novellata disciplina in materia di ascolto quale emerge dall’art. 336 bis c.c. (su tali aspetti cfr. Cass., 6 marzo 2015, n. 6129; Cass., 5 marzo 2014, n. 5237; Cass., 2 agosto 2013, n. 18538).
La centralità dell’interesse del minore nelle azioni di stato è stata più volte affermata dalla Corte costituzionale, che di recente ha ribadito che “la Convenzione Europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, adottata dal Consiglio d’Europa a Strasburgo il 25 gennaio 1996, ratificata e resa esecutiva con L. 20 marzo 2003, n. 77, nel disciplinare il processo decisionale nei procedimenti riguardanti un minore, detta le modalità cui l’autorità giudiziaria deve conformarsi prima di giungere a qualunque decisione, stabilendo (tra l’altro) che l’autorità stessa deve acquisire informazioni sufficienti al fine di prendere una decisione nell’interesse superiore del minore”, aggiungendo che “la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea del 7 dicembre 2000, adottata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, nell’art. 24, comma 2, prescrive che In tutti gli atti relativi ai minori, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l’interesse superiore del minore deve essere considerato preminente; e il comma terzo del medesimo articolo aggiunge che Il minore ha diritto di intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con i due genitori, salvo qualora ciò sia contrario al suo interesse”.
A tale principio ormai acquisito in ambito internazionale corrisponde analogo indirizzo dell’ordinamento interno, nel quale “l’interesse morale e materiale del minore ha assunto carattere di piena centralità, specialmente dopo la riforma attuata con L. 19 maggio 1975, n. 151 (Riforma del diritto di famiglia), e dopo la riforma dell’adozione realizzata con la L. 4 maggio 1983, n. 184 (Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori), come modificata dalla L. 28 marzo 2001, n. 149, cui hanno fatto seguito una serie di leggi speciali che hanno introdotto forme di tutela sempre più incisiva dei diritti del minore” (Corte costituzionale, n. 31 del 2012).
Contrariamente a quanto affermato nell’impugnata decisione, il quadro normativo attuale, come interpretato dalla giurisprudenza e dalla dottrina prevalenti, impone un bilanciamento fra l’esigenza di affermare la verità biologica, anche in considerazione delle “avanzate acquisizioni scientifiche nel campo della genetica e dall’elevatissimo grado di attendibilità dei risultati delle indagini” (così Corte cost. 12 gennaio 2012, n. 7) con l’interesse alla stabilità dei rapporti familiari, nell’ambito di una sempre maggiore considerazione del diritto all’identità non necessariamente correlato alla verità biologica, ma ai legami affettivi e personali sviluppatisi all’interno di una famiglia.
Tale bilanciamento, traguardato nell’ottica dell’interesse superiore del minore, non può costituire il risultato di una valutazione astratta: in proposito deve richiamarsi il costante orientamento della Corte di legittimità in merito alla necessità di un accertamento in concreto dell’interesse del minore nelle vicende che lo riguardano, con particolare riferimento agli effetti del provvedimento richiesto in relazione all’esigenza di una sviluppo armonico dal punto di vista psicologico, affettivo, educativo e sociale (Cass., 23 settembre 2015, n. 18817; Cass., 8 novembre 2013, n. 25213; Cass., 19 ottobre 2011, n. 21651; Cass., 27 giugno 2006, n. 14840; Cass., 30 maggio 1997, n. 4834; Cass. 24 settembre 1996, n. 8413).
Corte di Cassazione civile, Sez. I, 22/12/2016, n. 26767