Meravigliosa opera ad olio su tela di piccole dimensioni (cm.44,5 x 39) eseguita verso il 1665/1666, la cui notorietà è apparsa alla ribalta internazionale a seguito di due romanzi, uno nel 1986 della scrittrice M. Morazzoni intitolato “La ragazza col turbante” e l’ altro nel 1999 della scrittrice T. Chevalier intitolato “ La ragazza con l’ orecchino di perla ”. Da quest’ ultimo romanzo trassero l’ispirazione per un film prodotto nel 2003 ed interpretato dall’ attrice Scarlett Johansson.
Nell’ opera ” La ragazza con l’ orecchino di perla ” si può osservare un volto davvero particolare per bellezza e postura (a tre quarti verso sinistra) in cui la luce e l’ombra danzano assieme in un contrasto profondo e magico. La semplicità e la serenità innocente della ragazza donano una bellezza prorompente a tutte le movenze anche impercettibili del volto (le labbra, piene ed appena dischiuse mentre l’intensità del candore del bianco degli occhi contrasta in modo tonale con lo scuro delle pupille) caratterizzando in modo inequivocabile un’ innocenza e una genuinità interiore.
I fondamentali elementi che concentrano l’attenzione dell’ osservatore sono: lo scialle color rame, il turbante color azzurro e la perla molto grande che scende luminosissima dall’ orecchio sinistro, a detta di esperti per la sua eccessiva grandezza, probabilmente di vetro veneto.
Il fondo scuro prettamente ad ispirazione caravaggesca, dona al dipinto una particolare magia cromatica ed un effetto luce miracoloso.
Ne consegue che ” La ragazza con l’ orecchino di perla ” rappresenta tra le opere del Vermeer quella più significativa a livello internazionale.
Vermeer nei suoi dipinti riuscì a modulare la luce realizzando tinte di estrema chiarezza, pertanto la sua produzione è caratterizzata da quadri luminosi e limpidi.
Quasi a sostenere che la “luce” ha un suo determinato colore, pertanto diversa ed isolabile dalle ombre generate mentre si ricompatta a loro svolgendo il suo ruolo di connubio elemento corposo tridimensionale.
Si tratta di uno studio altamente professionale del colore, che comporta una maniacale raffinazione delle masse cromatiche stratificate per renderle omogenee e luminose all’interno dell’impasto stesso, creando tonalità calde, fredde e semifredde per plasmarle indifferentemente a seconda dello stato dei sentimenti delle persone rappresentate, in prevalenza ritratti femminili.
Da qui sorge un interessante aspetto intrinseco sulla ricerca del Vermeer: possiamo affermare, sulla scorta di quanto appena detto, che il pittore abbia eseguito costantemente elaborazioni e ricerche sulle metodologie delle cromie migliori a seconda dell’interpretazione introspettiva del soggetto da raffigurare, quasi a cercarne una compenetrazione psico-mentale.
Si potrebbero quindi attribuire a lui i primi tentativi di esperimenti concreti – anche se rudimentali – del colore, applicato a seconda della cosiddetta “psicologia del soggetto”.
Certo, ai tempi d’oggi, gli approfondimenti di tali studi scientifici, le elaborazione interattive con l’aumento delle conoscenze mediche, i risultati di studi scientifici condotti da figure mediche appropriate ed in aggiunta quelle artistiche sia psicocromatiche che cromoterapiche, hanno raggiunto passi davvero significativi che portano il livello di elaborazione in simbiosi a step meravigliosi, dopo aver superato ostacoli che fino a pochi anni fa sembravano insormontabili.