Nozione di continuazione
Occorre premettere che in tema di riconoscimento della continuazione il giudice di merito – attraverso un concreto esame dei tempi e delle modalità di realizzazione delle diverse violazioni commesse – deve apprezzare l’esistenza o meno di indici rivelatori tali da consentire – ove rinvenuti – la qualificazione delle condotte in termini di unicità del disegno criminoso.
Per tale va intesa la rappresentazione unitaria sin dal momento ideativo delle diverse condotte violatrici – almeno nelle loro linee essenziali – da parte del soggetto agente, sì da potersi escludere una successione di autonome risoluzioni criminose ed in tal modo giustificandosi la valutazione di ridotta pericolosità sociale che giustifica il trattamento sanzionatorio più mite rispetto al cumulo materiale (ex multis Sez. I n. 40123 del 22.10.2010).
Ciò perché la ricaduta nel reato e l’abitualità a delinquere non integrano di per sé il caratteristico elemento intellettivo (unità di ideazione che abbraccia i diversi reati commessi) che caratterizza il reato continuato.
La ricostruzione del processo ideativo di una serie di episodi è – per natura – indiziaria, atteso che trattandosi di accertamento relativo ad atteggiamento psicologico lo stesso può alimentarsi esclusivamente dall’apprezzamento di nessi esteriori – tra le diverse condotte poste in essere-, che non siano però espressivi di una indefinita adesione ad un sistema di vita.
Va riaffermato dunque che la unicità di disegno criminoso, richiesta dall’art. 81 c.p., comma 2, non può identificarsi con una scelta di vita che implica la reiterazione di determinate condotte criminose o comunque con una generale tendenza a porre in essere determinati reati.
Al contempo la nozione di continuazione neppure può ridursi all’ipotesi che tutti i singoli reati siano stati dettagliatamente progettati e previsti, in relazione al loro graduale svolgimento, nelle occasioni, nei tempi, nelle modalità delle condotte, giacché siffatta definizione di dettaglio oltre a non apparire conforme al dettato normativo, che parla soltanto di “disegno” porrebbe l’istituto fuori dalla realtà concreta, data la variabilità delle situazioni di fatto e la loro prevedibilità, quindi e normalmente, solo in via approssimativa.
Quello che occorre, invece, è che si abbia una visibile programmazione e deliberazione iniziale di una pluralità di condotte in vista di un unico fine.
La programmazione può essere perciò ab origine anche di massima, purché i reati da compiere risultino previsti almeno in linea generale, con riserva di adattamento alle eventualità del caso, come mezzo per il conseguimento di un unico scopo o intento, prefissato e sufficientemente specifico (in tal senso Sez. I n. 12905 del 17.3.2010).
Tali principi sono stati ribaditi, con specifico riferimento ai contenuti della valutazione da compiersi in sede esecutiva, da Sez. Un. n. 28659 del 18.5.2017, che si è espressa nel modo che segue: il riconoscimento della continuazione, necessita, anche in sede di esecuzione, non diversamente che nel processo di cognizione, di una approfondita verifica della sussistenza di concreti indicatori, quali l’omogeneità delle violazioni e del bene protetto, la contiguità spazio-temporale, le singole causali, le modalità della condotta, la sistematicità e le abitudini programmate di vita, e del fatto che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero stati programmati almeno nelle loro linee essenziali, non essendo sufficiente, a tal fine, valorizzare la presenza di taluno degli indici suindicati se i successivi reati risultino comunque frutto di determinazione estemporanea
Corte di Cassazione Penale Sez. 1 sentenza n. 37385 del 2024