Ordinanza che dispone la misura cautelare
L’ordinanza che dispone la misura cautelare contiene, a pena di nullità rilevabile anche d’ufficio:
a) le generalità dell’imputato o quanto altro valga a identificarlo;
b) la descrizione sommaria del fatto con l’indicazione delle norme di legge che si assumono violate;
c) l’esposizione e l’autonoma valutazione delle specifiche esigenze cautelari e degli indizi che giustificano in concreto la misura disposta, con l’indicazione degli elementi di fatto da cui sono desunti e dei motivi per i quali essi assumono rilevanza, tenuto conto anche del tempo trascorso dalla commissione del reato;
c-bis) l’esposizione e l’autonoma valutazione dei motivi per i quali sono stati ritenuti non rilevanti gli elementi forniti dalla difesa, nonché, in caso di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere, l’esposizione delle concrete e specifiche ragioni per le quali le esigenze di cui all’articolo 274 non possono essere soddisfatte con altre misure;
d) la fissazione della data di scadenza della misura, in relazione alle indagini da compiere, allorché questa è disposta al fine di garantire l’esigenza cautelare di cui alla lettera a) del comma 1 dell’articolo 274;
e) la data e la sottoscrizione del giudice.
Ordinanza che dispone la misura cautelare
Descrizione del fatto ascritto
Nella fase delle indagini preliminari non vi è un’imputazione in senso proprio, essendo demandato al Giudice della cautela la descrizione sommaria del fatto con l’indicazione delle norme di legge che si assumono violate (art. 292, comma, 2, lett. b), cod. proc. pen.) oltre all’esposizione degli indizi, con l’indicazione degli elementi di fatto dai cui sono desunti (art. 292, comma, 2, lett. c), cod. proc. pen.), che costituiscono il compendio (per l’appunto, gravemente indiziario) del delitto de quo (fermo restando che il giudice non può immutare i fatti addotti dalla pubblica accusa nella relativa richiesta). Difatti, la descrizione sommaria del fatto con l’indicazione delle norme violate (ai sensi del citato art. 292, comma 2, lett. b), ha la funzione di informare l’indagato circa il tenore dell’incolpazione mossagli, al fine di consentirgli il pieno esercizio del diritto di difesa; e può dirsi soddisfatto allorché i fatti addebitati siano indicati in modo tale che l’interessato ne abbia immediata e sicura conoscenza (Cass., Sez. U., n. 16 del 14/07/1999; Sez. 3, n. 20003 del 10/01/2020; Sez. 6, n. 50953 del 19/09/2014).
Al riguardo, è significativa la netta alterità tra il tenore testuale della norma in commento, rispetto all’art. 417 cod. proc. pen., che, nel disciplinare i requisiti della richiesta di rinvio a giudizio, prescrive l’enunciazione «in forma chiara e precisa» dell’addebito. È dunque soltanto a seguito dell’esercizio dell’azione penale che l’imputazione si cristallizza in una formulazione definitiva, salva l’eventualità di modifiche. Ciò è del resto coerente ad una logica di progressività dell’accertamento giudiziale, alla quale è connaturale un certo grado di fluidità dell’addebito nella fase procedimentale antecedente all’esercizio dell’azione penale, in cui le indagini sono in itinere ed è quindi fisiologico che i lineamenti fattuali dell’accusa possano non risultare ancora del tutto nitidi. Ai fini cautelari è pertanto sufficiente una enunciazione dell’addebito tale da consentire all’incolpato di comprenderne il fulcro e le coordinate cronologiche, topografiche e modali essenziali, sì da poter esercitare il diritto di difesa. Non è dunque nemmeno necessario che le ipotesi di reato contestate siano formalmente trasfuse in autonomi e specifici capi di imputazione, potendo esse risultare anche dal contesto della motivazione (cfr. Cass., Sez. 6, n. 50953/2014, cit.; Sez. 1, n. 4038 del 04/07/1995).
Corte di Cassazione penale sentenza Sez. 5 n. 12537 del 2023