Reazione da parte della vittima alle provocazioni del bullo
Il comportamento ripetutamente provocatorio e offensivo del bullo legittima o meno la reazione da parte della vittima?
Nel caso di specie la vittima si era determinata a tenere la condotta da cui era derivato l’evento in un momento diverso da quello in cui aveva subito l’aggressione, e tale comportamento veniva colpevolizzato senza tener conto dei fenomeni di bullismo che avevano preceduto la reazione, senza i quali l’evento non si sarebbe determinato.
La decisione, evidentemente incapace di penetrare il contesto situazionale in cui si erano svolti i fatti, ha, di conseguenza, omesso di adattarvi la regola causale, nel senso che verrà chiarito.
La regola di causalità applicata dal giudice, adeguata all’ipotesi in cui il destinatario di una provocazione anzichè reagire istintivamente e contestualmente alla provocazione ricevuta, commisurandone modi e tempi, covi una vendetta che sfoci in un atto di aggressione violenta che, sfilacciando la dipendenza causale con il fatto che l’aveva originata, si pone alla base di una nuova ed autonoma sequenza causale, si rileva inappagante, invece, nel caso di colui che viene reiteratamente provocato e dileggiato e che reagisca alle offese di cui è stato vittima. Viene ritenuta, infatti, una regola di esperienza che colui che è reiteratamente aggredito reagisce come può per far cessare l’altrui condotta lesiva (Cass. 08/11/2012, n. 19294).
Quando l’autore della reazione sia un adolescente, vittima di comportamenti prevaricatori, aggressivi, mortificanti e reiterati nel tempo, occorre, in aggiunta, tener conto che la sua personalità non si è ancora formata in modo saldo e positivo rispetto alla sequela vittimizzante cui è stato supposto; è prevedibile, infatti, che la sua reazione possa risolversi, a seconda dei casi, nell’adozione di comportamenti aggressivi internalizzati che possono trasformarsi, con costi anche particolarmente elevati in termini emotivi, in forme di resilienza passiva e autoconservative, evolvere verso forme di autodistruzione oppure tradursi, come è avvenuto nel caso di specie, nell’assunzione di comportamenti esternalizzati aggressivi.
Pur dovendosi neutralizzare e condannare l’istinto di vendetta del minore bullizzato, è innegabile che la risposta ordinamentale non possa essere solo quella della condanna dell’atto reattivo come comportamento illecito a sè stante, ignorando le situazioni di privazione e di svantaggio che ne costituivano il sostrato, non solo perchè l’ignoranza e la sottovalutazione possono (persino) attivare un circolo negativo di vittimizzazione ulteriore, ma anche perchè il bullismo non dà vita ad un conflitto meramente individuale, come dimostrano le rilevazioni statistiche, e richiede un coacervo di interventi coordinati che, oltre a contenere il fenomeno, fungano da diaframma invalicabile che si interponga tra l’autore degli atti di bullismo e le persone offese, anche onde rendere del tutto ingiustificabile la reazione di queste ultime.
In assenza di prove circa come le istituzioni, la scuola, in particolare, fossero intervenute per arginare il fenomeno del bullismo e per sostenere l’odierno ricorrente, quindi mancando anche la prova della ricorrenza di espressioni di condanna pubblica e sociale del comportamento adottato dai cosiddetti bulli, non era legittimo attendersi da parte della vittima, adolescente, una reazione razionale, controllata e non emotiva.
Nel caso di specie, non solo non è fuori luogo, ma è persino doveroso che l’ordinamento si dimostri sensibile verso coloro che sono esposti continuamente a condizioni vittimizzanti idonee a provocare e ad amplificare le reazioni rispetto alle sollecitazioni negative ricevute; soprattutto ove la vittima venga privata del meccanismo repressivo istituzionale dell’illecito e, come sembra sia avvenuto in questo caso, venga lasciata sola nell’affrontare il conflitto. Non una sola parola è stata spesa, infatti, per chiarire se la scuola si fosse fatta carico di predisporre interventi di contrasto della piaga del bullismo attraverso un programma serio e articolato fondato su specifiche direttive psicopedagogiche e su forme di coinvolgimento dei genitori.
Sicchè è opinione della giurisprudenza di legittimità che l’accertamento di una responsabilità individuale decontestualizzata non sia in grado di garantire una giustizia riparativa efficace.
Nell’attesa che si diffondano forme di giustizia riparativa specificamente calibrate sul fenomeno del bullismo, ferma la necessaria condanna tanto dei comportamenti prevaricatori e vessatori quanto di quelli reattivi, la risposta giuridica, nel caso di specie, non avrebbe dovuto ignorare le condizioni di umiliazione a cui l’adolescente in questione è provato fosse stato ripetutamente sottoposto.
E senza mortificare le regole causali, nè utilizzarle come giudizi di valore, alla luce del risultato che si intendeva conseguire in termini di responsabilità, tarando le prime sul secondo, il giudice avrebbe dovuto tener conto della loro permeabilità da parte di istanze di giustizia sostanziale, onde pervenire “alla più corretta delle soluzioni possibili” (Cass. 21/7/2011, n. 15991), anche abbandonando il piano naturalistico proprio della causalità materiale per accedere ad un piano di valutazione della dimensione complessiva della convergenza e dell’interazione di tutti i fattori concausali all’interno della più ampia fattispecie di responsabilità civile.
Se il metodo generalizzante, cioè la regola che ha ispirato la decisione impugnata, ha permesso di ricostruisce in astratto l’evento, semplificandolo, ad altro risultato il giudice avrebbe potuto approdare, ove si fosse avvalso del criterio della causalità individuale, la quale avrebbe avuto il pregio di focalizzare l’analisi sull’evento per come verificatosi e che, differendo dalla causalità generale non già per il criterio adoperato, ma solo per la base del giudizio, avrebbe messo il giudicante nella condizione di attribuire il giusto peso, in termini di spiegazione causale, a tutti gli elementi concreti e alle circostanze del caso reputate rilevanti.
Come la dottrina mette in risalto nel giudizio di causalità generale, infatti, la base è idealtipica e, pertanto, depurata di contenuti descrittivi; nel giudizio di causalità individuale, per contro, la base è necessariamente più ricca di elementi, dato che nel modello di spiegazione causale devono essere inseriti tutti gli elementi concreti reputati rilevanti.
La Corte regolatrice ha già avuto occasione di affermare che, pur non spettando al giudice esprimere valutazioni di tipo etico e sociale relativamente al comportamento dei consociati, non deve ritenersi preclusa la possibilità di usare la responsabilità civile allo scopo di offrire risposte, ovviamente rigorosamente incardinate sul piano giuridico, capaci di adattarsi al contesto situazionale di riferimento, sensibili ai mutamenti sociali del tempo, e capace di collocarsi diaframmaticamente nelle dinamiche interpersonali che promanano dai sempre più frequenti processi vittimogeni che coinvolgono soprattutto le giovani generazioni (Cass. 12/04/2018, n. 9059).
Per di più, la giurisprudenza della Corte ha in varie occasioni ribadito che – allo scopo di pervenire ad una soluzione che sia tra le disponibili la migliore e la più aderente alle caratteristiche uniche del caso concreto – è permesso al giudice, quando non sia più in questione l’accertamento del nesso di derivazione causale, perchè il danno è eziologicamente ascrivile alla condotta colpevole dell’agente, nella fase di determinazione del danno-conseguenza risarcibile, sul piano della determinazione dell’ammontare del quantum risarcitorio dovuto, servirsi della valutazione equitativa ex art. 2056 c.c. e determinare, quindi, la compensazione economica ritenuta socialmente adeguata del pregiudizio, cioè quella che, a fronte di un danno certo – la valutazione equitativa non può surrogarsi alla prova della ricorrenza del danno – ne determini l’ammontare tenuto conto della compensazione che la coscienza sociale in un determinato momento storico ritenga equa, tenuto conto di tutte le specificità del caso concreto ed in particolare dei vari fattori incidenti sul verificarsi della lesione e sulla sua gravità (Cass. 29/2/2016, n. 3893; Cass. 21/08/2018 20829; Cass. 18/04/2019, n. 10812).
Corte di Cassazione civile sez. III, sentenza n.22541 del 10/09/2019