La Suprema Corte di Cassazione con la sentenza che si riporta in commento affronta la questione inerente la responsabilità del titolare di un blog pubblicato sulla rete in relazione al reato di diffamazione aggravata.
Nel caso di specie l’imputato/ricorrente veniva condannato per il reato di cui all’art. 595, commi 2 e 3, C.p., per avere diffuso, su un sito internet di cui era la titolare, un articolo dal contenuto diffamatorio.
In sede di appello, la Corte distrettuale aveva osservato, in particolare, che:
– la condotta di “pubblicazione” di un testo non è attribuibile soltanto al suo diretto autore, ma anche a chi gestisce il sito che l’aveva diffuso, dovendone questi risponderne, se vi è prova che l’abbia condiviso, a titolo di concorso (Cass. n. 12456/2019);
– il sito in questione era intestato all’imputato/ricorrente, che ne era pertanto l’indubbio titolare; lo stesso, consentendo ad altri utenti di accedervi, pubblicando i contenuti da costoro elaborati, e mantenendoli, ne aveva condiviso la paternità, così concorrendo nella consumata diffamazione;
– non aveva pertanto rilievo, nel caso concreto, la pronuncia con la quale la Corte di cassazione aveva escluso che l’amministratore di un sito possa rispondere ai sensi dell’art. 57 C.p. (sent. n. 16751/2018), e quindi per omesso controllo, avendo, peraltro, la suprema Corte precisato (con la già citata pronuncia n. 12546/2019) che costui può concorrere nel reato quando, come ricordato, si debba ritenere che ne abbia condiviso il contenuto;
– l’elaborato, poi, doveva considerarsi certamente offensivo della reputazione della persona offesa.
Si è infatti affermato che, in tema di diffamazione, l’amministratore di un sito internet non è responsabile ai sensi dell’art. 57 C.p., in quanto tale norma è applicabile alle sole testate giornalistiche telematiche e non anche ai diversi mezzi informatici di manifestazione del pensiero (forum, blog, newsletter, newsgroup, mailing list, facebook), sempre che non sussistano elementi che denotino la compartecipazione dell’amministrazione all’attività diffamatoria (Cass., Sez. 5, n. 16751 del 19/02/2018).
E si è poi precisato che, in tema di diffamazione, il “blogger” risponde del delitto nella forma aggravata, ai sensi del comma 3 dell’art. 595 C.p., sotto il profilo dell’offesa arrecata “con qualsiasi altro mezzo di pubblicità“, per gli scritti di carattere denigratorio pubblicati sul proprio sito da terzi quando, venutone a conoscenza, non provveda tempestivamente alla loro rimozione, atteso che tale condotta equivale alla consapevole condivisione del contenuto lesivo dell’altrui reputazione e consente l’ulteriore diffusione dei commenti diffamatori (Cass., Sez. 5, n. 12546 del 08/11/2018).
Confermata pertanto l’inapplicabilità dell’art. 57 C.p. ai gestori di siti internet diversi dalle testate giornalistiche telematiche (e del resto, oltre alla tassatività dei soggetti indicati dalla norma, il direttore o il vice direttore della pubblicazione, si doveva considerare anche il diverso momento in cui interviene il controllo dei contenuti, prima della pubblicazione, nel caso della carta stampata e delle testate telematiche, dopo il loro inserimento, nel caso dei blog, dei social e degli altri mezzi di comunicazione su internet), la giurisprudenza di legittimità ha osservato come possa ritenersi il concorso del titolare del sito (o di altro mezzo di comunicazione su internet) in cui sia stato pubblicato il pezzo diffamatorio solo quando sia provato il suo consapevole e volontario concorso nella diffusione stessa (individuato, ad esempio, dalla citata Cass., n. 12546/2019, nella omessa rimozione dello scritto).
Corte di Cassazione Penale Sent. Sez. 5 n. 7220 Anno 2021