
San Bartolomeo con i simboli del martirio. Opera di Pompeo Batoni. Museo di Palazzo Chigi di Ariccia (Collezione Lemme), Roma.
San Bartolomeo con i simboli del martirio è un dipinto (olio su tela, cm 72×60) realizzato verso la metà del XVIII secolo dal pittore italiano Pompeo Batoni ed attualmente conservato presso il Museo di Palazzo Chigi di Ariccia (Collezione Lemme), Roma.
Pompeo Girolamo Batoni (Lucca, 25 Gennaio 1708 – Roma, 4 Febbraio 1787) è stato un celebre pittore miniaturista italiano, di origine lucchese, ma molto attivo a Roma dove, giunto appena diciannovenne, ha vissuto per un lungo periodo nella seconda metà del XVIII secolo, affermandosi principalmente come ritrattista dell’aristocrazia europea. Tra le sue opere realizzate nella città di Roma occorre citare il dipinto Madonna in trono con Santi e Beati della famiglia Gabrielli di Gubbio, (anno 1739), per la Chiesa di San Gregorio al Celio, la pala d’altare Cristo in gloria con i santi Giuliano, Basilissa, Celso e Marcionilla, (anno 1736-1738) per la Chiesa dei Santi Celso e Giuliano, il dipinto la Caduta di Simon Mago (anno 1755) conservato all’interno della Basilica di Santa Maria degli Angeli; il dipinto raffigurante la Sacra Famiglia (anno 1760) conservato nei Musei Capitolini, Pinacoteca Capitolina, il dipinto raffigurante la Natività di Gesù (1740 -1750 circa) conservato nella Galleria Nazionale d’Arte Antica di Palazzo Corsini; il dipinto raffigurante Girolama Santacroce come “Vanitas” (databile al 1759 circa), conservato presso il Museo di Roma, e l’ovale su rame raffigurante il Sacro Cuore (anno 1767) per la Chiesa del Gesù.
Famosa è inoltre la sua accesa rivalità con il pittore tedesco Anton Raphael Mengs.
Il dipinto San Bartolomeo con i simboli del martirio raffigura l’apostolo mentre regge tra le mani, mostrandole allo spettatore, la propria pelle scuoiata. Altro simbolo del martirio subito è il coltello, che l’apostolo tiene in mano e del quale si intravede la lama.
La composizione richiama quella (certamente più celebre) realizzata da Michelangelo Buonarroti nel Giudizio Universale della Cappella Sistina, in cui l’immagine del volto sulla pelle scuoiata sembra che sia un autoritratto del sommo maestro, che in tal modo introduce nell’opera una sua firma.