Stampati idonei a “turbare il comune sentimento della morale”
L’art. 15 della legge 8 febbraio 1948, n. 47 (Disposizioni sulla stampa), che sanziona penalmente, ai sensi dell’art. 528 del codice penale, l’utilizzazione di “stampati i quali descrivano o illustrino, con particolari impressionanti o raccapriccianti, avvenimenti realmente verificatisi o anche soltanto immaginari, in modo da poter turbare il comune sentimento della morale e l’ordine familiare o da poter provocare il diffondersi di suicidi o delitti“.
Invero, l’art. 15 della legge n. 47 del 1948 dispone che si applichi l’art. 528 del codice penale ai fatti riguardanti gli “stampati i quali descrivano o illustrino, con particolari impressionanti o raccapriccianti, avvenimenti realmente verificatisi o anche soltanto immaginari”.
La previsione penale esige, come elemento della fattispecie legale, che tali stampati siano formati in modo “da poter turbare il comune sentimento della morale o l’ordine familiare o da poter provocare il diffondersi di suicidi o delitti”. Essa è all’esame di questa Corte per indeterminatezza, violazione del principio di uguaglianza e indebita limitazione della libertà di stampa, ma soltanto nella parte in cui dispone che questi stampati siano idonei a “turbare il comune sentimento della morale”.
L’art. 15 della legge sulla stampa del 1948, esteso anche al sistema radiotelevisivo pubblico e privato dall’art. 30, comma 2, della legge 6 agosto 1990, n. 223, non intende andare al di là del tenore letterale della formula quando vieta gli stampati idonei a “turbare il comune sentimento della morale”. Vale a dire, non soltanto ciò che è comune alle diverse morali del nostro tempo, ma anche alla pluralità delle concezioni etiche che convivono nella società contemporanea. Tale contenuto minimo altro non è se non il rispetto della persona umana, valore che anima l’art. 2 della Costituzione, alla luce del quale va letta la previsione incriminatrice denunciata.
Solo quando la soglia dell’attenzione della comunità civile è colpita negativamente, e offesa, dalle pubblicazioni di scritti o immagini con particolari impressionanti o raccapriccianti, lesivi della dignità di ogni essere umano, e perciò avvertibili dall’intera collettività, scatta la reazione dell’ordinamento. E a spiegare e a dar ragione dell’uso prudente dello strumento punitivo è proprio la necessità di un’attenta valutazione dei fatti da parte dei differenti organi giudiziari, che non possono ignorare il valore cardine della libertà di manifestazione del pensiero. Non per questo la libertà di pensiero è tale da inficiare la norma sotto il profilo della legittimità costituzionale, poiché essa è qui concepita come presidio del bene fondamentale della dignità umana.
Ciò si collega all’art. 21, sesto comma, della Costituzione, che- nel vietare le pubblicazioni contrarie al buon costume – demanda alla legge la predisposizione di meccanismi e strumenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni del precetto costituzionale.
La descrizione dell’elemento materiale del fatto-reato, indubbiamente caratterizzato dal riferimento a concetti elastici, trova nella tutela della dignità umana il suo limite, sì che appare escluso il pericolo di arbitrarie dilatazioni della fattispecie, risultando quindi infondate le censure di genericità e indeterminatezza.
Quello della dignità della persona umana è, infatti, valore costituzionale che permea di sé il diritto positivo e deve dunque incidere sull’interpretazione di quella parte della disposizione in esame che evoca il comune sentimento della morale.
CORTE COSTITUZIONALE sentenza n. 293/2000