La prescrizione del diritto alla corresponsione dell’assegno di mantenimento trova una sua fonte normativa nell’art. 2941 C.c. che stabilisce, al primo comma, la sospensione della stessa nell’ambito dei rapporti tra i coniugi.
L’indirizzo giurisprudenziale della sospensione della prescrizione tra i coniugi opera anche in caso di separazione, espresso dalla sentenza n.7533 del 2014, secondo la quale: “La regola della sospensione del decorso della prescrizione dei diritti tra i coniugi, prevista dall’art. 2941, comma 1, C.c., deve ritenersi operante sia nel caso che essi abbiano comunanza di vita, sia ove si trovino in stato di separazione personale, implicando questa solo una attenuazione del vincolo“. (Cass. n. 24160/2018)
Tale orientamento è stato superato da Cass. n. 7981 del 2014, alla quale hanno dato seguito Cass. n. 18078 del 2014 e da Cass. n. 8987 del 2016.
L’orientamento attuale della giurisprudenza di legittimità sul punto esprime il principio opposto secondo il quale “La sospensione della prescrizione tra i coniugi di cui all’art. 2941, comma 1, C.c., non trova applicazione al credito dovuto per l’assegno di mantenimento previsto nel caso di separazione personale, dovendo prevalere sul criterio ermeneutico letterale una interpretazione alla “ratio legis”, da individuarsi tenuto conto dell’evoluzione normativa e della coscienza sociale e, quindi, della valorizzazione delle posizioni individuali dei membri della famiglia rispetto alla conservazione dell’unità familiare e della tendenziale equiparazione del regime di prescrizione dei diritti post-matrimoniali e delle azioni esercitate tra coniugi separati. Nel regime di separazione, infatti, non può ritenersi sussistente la riluttanza a convenire in giudizio il coniuge, collegata al timore di turbare l’armonia familiare, poiché è già subentrata una crisi conclamata e sono già state esperite le relative azioni giudiziarie, con la conseguente cessazione della convivenza, il venir meno della presunzione di paternità di cui all’art. 232 C.c. e la sospensione degli obblighi di fedeltà e collaborazione“. (Cass. n. 24160/2018)
Sul punto la giurisprudenza di legittimità e di merito ha adottato una serie di pronunce sull’ambito di applicabilità e di interpretazione dell’art. 2941 C.c.
L’orientamento giurisprudenziale parte dalla nota pronuncia della Corte Costituzionale n. 35 del 1976 e la decisione della Corte di Cassazione 23 Agosto 1985, n.4502, sostanzialmente fondate sul tenore letterale della norma di cui all’art. 2941, n. 1, C.c. e sul rilievo che il regime di separazione dei coniugi comporta una mera attenuazione e non l’elisione del vincolo scaturente dal matrimonio. In particolare, è stato posto in evidenza, da un lato, il dato formale, da interpretarsi in maniera rigorosa, e dall’altro, il “favor matrimoni“, con il quale la sospensione della prescrizione ben si armonizzerebbe, consentendo ai coniugi “di attendere il raffreddamento delle tensioni, senza esasperarle con la proposizione di domande giudiziarie sotto la spada di Damocle della prescrizione“. (Cass. n. 7981/2014).
Deve in primo luogo osservarsi che l’esistenza di una chiara formulazione grammaticale della norma non è sufficiente per limitare l’interpretazione all’elemento letterale, occorrendo altresì che il senso reso palese dal significato proprio delle parole, secondo la loro connessione, non si ponga in contrasto con argomentazioni logiche sull’intenzione del legislatore (Cass., n. 1549/1979).
Deve anzi aggiungersi che, essendo da tempo divenuto del tutto desueto il noto canone “in claris non fit interpretatio”, l’art. 12 delle disp. prel. al C.c., laddove stabilisce che nell’applicare la legge non si può attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse e dall’intenzione del legislatore, non privilegia il criterio interpretativo letterale, poiché evidenzia, attraverso il riferimento “all’intenzione del legislatore” un essenziale riferimento alla coerenza della norma e del sistema.
Il dualismo, irrisolto dall’art. 12 delle citate disp. prel., tra lettera “significato proprio delle parole secondo la connessione di esse” e spirito, o “ratio” “intenzione del legislatore” è stato invero sciolto dalla dottrina e dalla giurisprudenza dominanti attraverso la “svalutazione” del primo criterio, rilevandosi l’inadeguatezza della stessa idea di interpretazione puramente letterale. Sotto altro profilo, mette conto di richiamare come l’interpretazione della legge debba e possa avere anche una funzione evolutiva ed adeguatrice, nel cui ambito ben può realizzarsi un risultato di tipo restrittivo, nel senso di ritenere, con riferimento al caso in esame, che la norma contenuta nell’art. 2941, n. 1, C.c., si riferisca al vincolo coniugale pienamente inteso, con esclusione del regime della separazione personale. Di tale esigenza adeguatrice la Corte di Cassazione si è già resa interprete in due decisioni, nelle quali, pur non affrontandosi espressamente il tema della sospensione del termine prescrizionale, esplicitamente si afferma che “In tema di separazione dei coniugi e di cessazione degli effetti civili del matrimonio, il diritto alla corresponsione dell’assegno di mantenimento, in quanto avente ad oggetto più prestazioni autonome, distinte e periodiche, si prescrive non a decorrere da un unico termine rappresentato dalla data della pronuncia della sentenza di separazione o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, bensì dalle singole scadenze di pagamento, in relazione alle quali sorge, di volta in volta, l’interesse del creditore a ciascun adempimento” (Cass., n. 6975/2005; Cass., n. 12333/1998).
In effetti, il trattamento indifferenziato delle ipotesi concernenti la prescrizione di diritti di natura post-matrimoniale e di azioni esercitate fra coniugi separati trova la sua giustificazione nel fatto che in entrambi i casi i diritti e le azioni esercitate non solo scaturiscono dalla crisi coniugale, ma trovano di regola il loro fondamento in pronunce giurisdizionali conclusive di controversie già intercorse fra le stesse parti. (Cass. n. 7981/2014).
Sul punto appare comunque contraddittorio rinvenire la stessa “ratio” nelle diverse ipotesi delle azioni esercitabili fra coniugi non separati e non, in quanto, mentre nel primo caso appare giustificata la riluttanza ad esperire azioni giudiziarie nei confronti del coniuge convivente, così turbando l’armonia familiare, nel secondo, non solo all’armonia, laddove si prescinda da una eventuale riconciliazione, è subentrata una situazione di crisi conclamata, ma, proprio nell’ambito di essa, sono state necessariamente esperite le azioni giudiziarie correlate alla crisi coniugale. Deve anzi porsi in evidenza come negli ultimi anni l’evoluzione del quadro normativo e l’elaborazione giurisprudenziale (si pensi alla responsabilità endo-familiare) abbiano favorito l’accrescersi delle azioni giudiziarie relative alla soluzione di controversie correlate alla crisi familiare, cui ha fatto riscontro, anche sotto il profilo procedurale, un significativo processo di unificazione dei termini e delle modalità di esperimento delle azioni relative alla separazione personale e allo scioglimento del matrimonio o alla cessazione dei suoi effetti civili. (Cass. n. 7981/2014).
Non rileva, invero, soltanto il venir meno della convivenza, circostanza già di per sé non ostativa all’instaurazione fra coniugi separati di azioni giudiziarie, che di certo, come già rilevato, non possono determinare una crisi familiare già conclamata, quanto la sopravvenienza alla separazione di rilevanti conseguenze di natura giuridica, tali da consentire una sostanziale assimilazione alla situazione che caratterizza gli ex coniugi, come il venir meno della presunzione di paternità ove la nascita di un figlio intervenga dopo il decorso di trecento giorni, ovvero la sospensione degli obblighi della fedeltà (Cass., 17 luglio 1997, n. 6566) e di collaborazione.
Ne consegue che l’interpretazione della norma contenuta nell’art. 2941, n. 1, C.c. sia da inquadrarsi nel generale e progressivo fenomeno di valorizzazione delle posizioni individuali dei membri della famiglia rispetto al principio della conservazione dell’unità familiare che per lungo periodo si è imposta come elemento fondante dell’interpretazione delle norme e dell’individuazione dei principi posti a fondamento del diritto di famiglia. (Cass. n. 7981/2014).