Atti osceni
Dispositivo dell’art. 527 Codice Penale
Chiunque, in luogo pubblico o aperto o esposto al pubblico, compie atti osceni è soggetto alla sanzione amministrativa pecuniaria da euro 5.000 a euro 30.000.
Si applica la pena della reclusione da quattro mesi a quattro anni e sei mesi se il fatto è commesso all’interno o nelle immediate vicinanze di luoghi abitualmente frequentati da minori e se da ciò deriva il pericolo che essi vi assistano
Oggetto specifico della tutela, riferito all’ articolo 527 Cp, è l’ interesse pubblico di garantire i beni giuridici della moralità pubblica e del buon costume (Titolo 9 del codice), in particolare il pudore sessuale (Capo 2), secondo il comune sentimento (articolo 529 Cp), e cioè secondo il sentimento dell’ uomo normale, ossia dell’ individuo maturo sul pano etico e psichico, alieno dalla fobia o dalla mania per il sesso, che accetti il fenomeno sessuale come dato fondamentale della persona umana (cosi Cassazione Sezione terza, 10657/97, Francini; Sezione prima, 5873/76, Bolzano).
Che il legislatore, con il reato di cui all’ articolo 527 Cp, abbia inteso tutelare il pudore sì evince non solo dalla ricordata intestazione del capo secondo, ma anche dal menzionato articolo 529 Cp che, specificando la nozione dì osceno, ritiene osceni gli atti ed oggetti che, secondo il comune sentimento, offendono il pudore.
Cosa si intenda per pudore, lo ricorda poi una risalente ma ancora attuale decisione della Corte (Sezione 111, 1809/76): un fenomeno biologico umano che si esprime in una «reazione emotiva, immediata ed irriflessa, di disagio, turbamento e repulsione, in ordine ad organi del corpo o comportamenti sessuali che -per ancestrale istitutiva, continuità pedagogica, stratificazione di costumi ed esigenze morali- tendono a svolgersi nell’ intimità e nel riserbo».
Riepilogando perciò, è osceno l’ atto che offende il pudore, secondo il comune sentire; l’atto osceno è vietato, ex articolo 527 Cp, se commesso in luogo pubblico o aperto/esposto al pubblico, proprio per la sua potenziale lesività del buon costume e della pubblica moralità. Ne deriva che la capacità di offendere il pudore è strutturalmente connessa al requisito della pubblicità, cioè alla percepibilità da parte di un numero indeterminato di persone, che è per cosi dire rappresentativo dell’ uomo medio e della comune sensibilità in materia sessuale. Questa capacità offensiva del comune senso del pudore viene invece a mancare quando il comportamento dell’ agente è percepibile soltanto da un ristretto gruppo di persone determinate le quali, lungi dal rappresentare la sensibilità media, hanno mostrato di accettare (addirittura gradire) quel comportamento e di non subire alcun vulnus al loro senso del pudore. In questi casi la condotta è priva dì concreta offensività e quindi non è idonea ad integrare la fattispecie tipica prevista dall’ articolo 527 Cp.
Perciò la Corte ha reiteratamente affermato che la capacità offensiva dell’ osceno è condizionata dal contesto ambientale in cui è presentato, per cui, ad esempio, «lo spettacolo osceno che si svolga con particolari modalità di riservatezza e di cautela in presenza di sole persone adulte non integra il reato In questione, ove il giudice di merito accerti, In relazione a dette modalità, che il comune senso del pudore non risulti offeso» (Sezione terza, 135/97, Dal Ben).
Tale restrittiva interpretazione dell’ osceno è perfettamente in linea. sia con la posizione assunta dalle Sezioni Unita di questa Corte con la sentenza Vercelli dell’ 1 ottobre1991, sia con la successiva lettura costituzionale fornita dal Giudice delle leggi (Corte costituzionale, sentenza 368/1992).
Secondo la sentenza Vercelli, infatti, «l’ osceno attinge il limite dell’ antigiuridicità penale, quindi della sua stessa. punibilità , solo quando sia destinato a raggiungere la percezione della collettività, il cui sentimento del pudore può solo in tal modo essere posto in pericolo o subire offesa; in altri termini, ciò che si compie ed è destinato ad esaurirsi nella sfera privata, senza essere diretto alla comunicazione verso un numero indeterminato di persone, non è giuridicamente qualificabile come osceno». Di qui il inclusione nella disciplina dei reati che offendono il pudore del requisito della pubblicità, reale o potenziale, delle condotte criminose tipiche: delle quali essa costituisce un connotato comune, o perché espressamente previsto, o perché naturalmente presupposto. Secondo la Corte costituzionale, «il limite del buon costume di cui all’ articolo 21 uc Costituzione, è diretto a significare un valore riferibile alla collettività in generale, nel senso che denota le condizioni essenziali indispensabili, in un dato momento storico, ad assicurare, in relazione al contenuti morali e alle modalità di espressione del costume sessuale, una convivenza sociale conforme al principi costituzionali della tutela della dignità umana e del rispetto reciproco tra le persone, per cui l’osceno attinge il limite all’ antigiuridicità penale solo quando sia destinato a raggiungere la percezione della collettività».
Conseguentemente il giudice deve tener presente che la misura di illiceità dell’osceno è data dalla capacità offensiva del fatto verso gli altri, capacità che deve ritenersi insussistente nelle ipotesi in cui l’atto osceno possa raggiungere solo persone adulte che ne facciano richiesta.
Corte di Cassazione, Sezione III, sentenza 23 novembre – 17 dicembre 2004, n. 48532