L’ Affidamento in prova al servizio sociale è una misura alternativa alla detenzione disciplinata all’articolo 47 della Legge sull’ordinamento penitenziario (Legge 26 Luglio 1975, n. 354), che al comma primo stabilisce: “Se la pena detentiva inflitta non supera tre anni, il condannato può essere affidato al servizio sociale fuori dell’istituto per un periodo uguale a quello della pena da scontare“.
Ai fini della concessione della misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale pur non potendosi prescindere, dalla natura e dalla gravità dei reati per cui è stata irrogata la pena in espiazione, quale punto di partenza dell’analisi della personalità del soggetto, è tuttavia necessaria la valutazione della condotta serbata dal condannato in epoca successiva (Cass., n. 32128/2020): art. 47 comma secondo: “Il provvedimento è adottato sulla base dei risultati della osservazione della personalità, condotta collegialmente per almeno un mese in istituto, se il soggetto è recluso, e mediante l’intervento dell’ufficio di esecuzione penale esterna, se l’istanza è proposta da soggetto in libertà, nei casi in cui si può ritenere che il provvedimento stesso, anche attraverso le prescrizioni di cui al comma 5, contribuisca alla rieducazione del reo e assicuri la prevenzione del pericolo che egli commetta altri reato“.
Nel giudizio prescritto dall’art. 47 Ordinamento Penitenziario è indispensabile l’esame dei comportamenti attuali del condannato perché non è sufficiente verificare l’assenza di indicazioni negative, ricavabili senz’altro dal passato (ad esempio i precedenti penali), ma è necessario accertare in positivo la presenza di elementi che consentano un giudizio prognostico di buon esito della prova e di prevenzione del pericolo di recidiva. (Cass., n. 32128/2020)
Si deve, pertanto, avere riguardo al comportamento e alla situazione del soggetto dopo i fatti per i quali è stata inflitta la condanna in esecuzione, per verificare concretamente se sussistano, o no, sintomi di una positiva evoluzione della sua personalità e condizioni che ne rendano possibile il reinserimento sociale attraverso la richiesta misura alternativa; ciò non significa acquisire dai risultati dell’osservazione della personalità la prova che il soggetto abbia compiuto una completa revisione critica del proprio passato, essendo, al contrario, sufficiente l’avvio di tale processo critico (ex plurimis, Cass., Sez. 1, n. 31809 del 09/07/2009 e, più di recente, Cass., Sez. 1, n. 31420 del 05/05/2015). Tra gli indicatori utilmente apprezzabili in tale ottica, possono essere annoverati l’assenza di nuove denunzie, il ripudio delle pregresse condotte devianti, l’adesione a valori socialmente condivisi, la condotta di vita attuale, la congruità della condanna, l’attaccamento al contesto familiare e l’eventuale buona prospettiva di risocializzazione (Cass., Sez. 1, n. 44992 del 17/9/2018); non è, invece, necessaria la sussistenza di un lavoro già disponibile, potendo tale requisito essere surrogato da un’attività socialmente utile anche di tipo volontaristico (Cass., Sez. 1, n. 1023 del 30/10/2018).
L’istanza di affidamento in prova al servizio sociale è proposta, dopo che ha avuto inizio l’esecuzione della pena, al tribunale di sorveglianza competente in relazione al luogo dell’esecuzione. Quando sussiste un grave pregiudizio derivante dalla protrazione dello stato di detenzione, l’istanza può essere proposta al magistrato di sorveglianza competente in relazione al luogo di detenzione (art. 47. ord. pen. comma 4).
Il Tribunale di sorveglianza, nell’esaminare le informazioni e le relazioni provenienti dagli organi deputati all’osservazione del condannato, non è, in alcun modo, vincolato dai giudizi di idoneità ivi espressi, ma è tenuto soltanto a considerare le riferite informazioni sulla personalità e lo stile di vita dell’interessato, parametrandone la rilevanza ai fini della decisione alle istanze rieducative e ai profili di pericolosità dell’interessato, secondo il criterio della gradualità nella concessione di benefici penitenziari che governa l’ammissione ai benefici penitenziari (Cass., Sez. 1, n. 23343 del 23/03/2017); detto criterio, pur non costituendo una regola assoluta e codificata, risponde ad un razionale apprezzamento delle esigenze rieducative e di prevenzione cui è ispirato il principio stesso del trattamento penitenziario specie quando risulta documentato un non irrilevante vissuto criminale (Cass., Sez. 1, n. 5689 del 18/11/1998).
All’atto dell’affidamento è redatto verbale in cui sono dettate le prescrizioni che il soggetto dovrà seguire in ordine ai suoi rapporti con il servizio sociale, alla dimora, alla libertà di locomozione, al divieto di frequentare determinati locali ed al lavoro (art. 47. ord. pen. comma 5). Nel verbale può essere disposto che durante tutto o parte del periodo di affidamento in prova il condannato non soggiorni in uno o più comuni, o soggiorni in un comune determinato; in particolare sono stabilite prescrizioni che impediscano al soggetto di svolgere attività o di avere rapporti personali che possono portare al compimento di altri reati (art. 47. ord. pen. comma 6) e che l’affidato si adoperi in quanto possibile in favore della vittima del suo reato ed adempia puntualmente agli obblighi di assistenza familiare (art. 47. ord. pen. comma 7).
L’esito positivo del periodo di prova estingue la pena detentiva ed ogni altro effetto penale, ad eccezione delle pene accessorie perpetue (art. 47. ord. pen. comma 12).
L’ente che vigila e controlla la condotta del soggetto e lo aiuta a superare le difficoltà di adattamento alla vita sociale, anche mettendosi in relazione con la sua famiglia e con gli altri suoi ambienti di vita è il servizio sociale (art. 47. ord. pen. comma 9).
Il servizio sociale riferisce periodicamente al magistrato di sorveglianza sul comportamento del soggetto (art. 47. ord. pen. comma 10).
L’affidamento è revocato qualora il comportamento del soggetto, contrario alla legge o alle prescrizioni dettate, appaia incompatibile con la prosecuzione della prova (art. 47. ord. pen. comma 11).
La giurisprudenza di legittimità è consolidata nell’affermare che la revoca della misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale discende, per disposto normativo, non già dalla mera violazione della legge penale o delle prescrizioni dettate dalla disciplina della misura, ma, piuttosto, dal fatto che il giudice, nel suo insindacabile apprezzamento di fatto, ritenga, con motivazione logica, adeguata e non viziata, che la violazione commessa costituisca, in concreto, sopravvenienza incompatibile con la prosecuzione della prova (così Cass., Sez. 1, n. 13376 del 18/02/2019; Sez. 1, n. 27711 del 06/06/2013; Sez. 1., n. 2566 del 07/05/1998).
In tal modo, il giudizio sulla revoca, pur in presenza di un comportamento del soggetto contrario alle prescrizioni, è rimesso alla discrezionalità del Tribunale di sorveglianza, che ha solo l’obbligo di giustificare logicamente e adeguatamente l’uso del potere conferitogli.
Tale principio è coerente con il testo della legge, e, in particolare, con la previsione dell’art. 47, undicesimo comma, Legge 26 Luglio 1975, n. 354, secondo cui l’affidamento è revocato qualora il comportamento del soggetto, contrario alla legge o alle prescrizioni dettate, appaia incompatibile con la prosecuzione della prova ed è altresì correlato all’affermazione che, nel procedimento di sorveglianza finalizzato alla revoca dell’affidamento, i fatti storici costituenti ipotesi di reato riferibili al condannato possono essere valutati senza necessità di attendere la definizione del relativo procedimento penale, ove se ne tragga la coerente e motivata conclusione di una interruzione del percorso di risocializzazione (in questo senso Cass., Sez. 1, n. 33089 del 10/05/2011, nonché, in genere, per la valutazione della meritevolezza dei benefici penitenziari, Cass., Sez. 1, n. 42571 del 19/04/2013; Sez. 1, n. 6989 del 09/12/1999; Sez. 1, n. 2008 del 31/03/1995).
Il contenuto del giudizio affidato al Tribunale di sorveglianza è ulteriormente caratterizzato, sul piano della ricostruzione sistematica dell’istituto, dal rilievo che il tratto distintivo della revoca è costituito dalla natura sanzionatoria e dagli effetti impeditivi dell’ulteriore svolgimento dell’esperimento della prova, sul presupposto della sua incompatibilità con la condotta tenuta dal condannato, e dal riflesso che tale tratto caratterizzante ha sul contenuto del giudizio affidato all’autorità giudiziaria.
Il Tribunale di sorveglianza, nella revoca, è, infatti, chiamato a valutare la gravità di singoli, specifici, episodi per verificare se essi siano o meno incompatibili con la prosecuzione della prova, mentre, per stabilirne l’esito, deve procedere a una valutazione globale dell’intero periodo nell’ottica del recupero sociale del condannato (Cass., Sez. 1, n. 30525 del 30/06/2010; Sez. 1, n. 1180 del 17/02/2000).
Il Tribunale di sorveglianza, ancora, nel procedere alla revoca dell’affidamento, è tenuto a determinare il periodo di pena da considerarsi eventualmente scontato da parte del condannato, procedendo a un’attenta disamina del periodo di prova da lui trascorso onde stabilire, al là di ogni automatismo, se possa ragionevolmente ritenersi che l’affidato abbia raggiunto un grado, sia pur parziale, di risocializzazione, a tal fine considerando anche il concreto carico delle prescrizioni imposte, nonché la gravità oggettiva e soggettiva del comportamento che ha dato luogo alla revoca (Cass., Sez. 1, n. 490 del 03/11/2015; Sez. 1, n. 9314 del 19/02/2014; Sez. 1, n. 2667 del 18/10/2011).
Va ricordato, al riguardo, che la Corte costituzionale, nel dichiarare, con la sentenza n. 343 del 1987, l’illegittimità costituzionale dell’art. 47, decimo comma, della Legge 26 Luglio 1975, n. 354, nella parte in cui, in caso di revoca del provvedimento di ammissione all’affidamento in prova per comportamento incompatibile con la prosecuzione della prova, non stabilisce gli effetti conseguenti, ha affermato che il Tribunale di sorveglianza, una volta disposta la revoca della misura alternativa, deve procedere a determinare la residua pena detentiva ancora da espiare sulla scorta di una valutazione discrezionale, da condurre in considerazione della durata delle limitazioni patite dal condannato e del comportamento tenuto durante l’intero corso dell’esperimento.
Con tale pronuncia, la Consulta ha espresso la chiara consapevolezza dell’esistenza di una “zona grigia“, ossia intermedia tra la condotta trasgressiva posta in essere sin dall’inizio della sottoposizione alla misura e quella diligentemente rispettosa, protrattasi sino a quasi la conclusione del periodo di espiazione, cui soltanto all’ultimo segua una violazione determinante la revoca, ed ha pertanto affidato, richiamati i principi di proporzionalità ed individualizzazione della pena, al giudizio del Tribunale di sorveglianza il compito di stabilire, caso per caso, la durata della residua pena detentiva da scontare. (Cass. n. 33014/2020).
Infine, l’art. 183 C.p., disciplina il concorso di cause estintive, disponendo che le cause di estinzione del reato o della pena operano nel momento in cui esse intervengono. Infatti, da tale disposizione si trae il criterio cronologico di riferimento nel caso in cui si susseguano diverse cause di estinzione, (Cass. n. 2581/2021, nella specie: l’indulto, che opera ex lege con effetto di condonare in tutto o in parte la pena inflitta, non estingue le pene accessorie, salva diversa disposizione, e neppure gli altri effetti penali della condanna ex art. 174 C.p.; la misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale, il cui esito positivo estingue la pena detentiva ed ogni altro effetto penale, ad eccezione delle pene accessorie perpetue ex art. 47, comma 12, 0.P.).
L’art. 183 C.p., inoltre, determina gli effetti diacronici dell’intervento di più cause di estinzione, prescrivendo che la causa antecedente estingue il reato o la pena, e quella successiva fa cessare gli effetti che non siano ancora estinti in conseguenza della prima. Infine, nell’ipotesi di contestuale operatività di più cause di estinzione, si dispone di dare prevalenza alla causa più favorevole, ma recuperando anche l’efficacia della meno favorevole qualora permangano effetti che la prima non ha eliminato. (Cass. n. 2581/2021).