La semilibertà è una misura alternativa alla detenzione, disciplinata all’articolo 48 e seguenti della Legge sull’Ordinamento Penitenziario (Legge 26 Luglio 1975, n. 354), e riformata dalla Legge n. 663 del 1986, c.d. Legge Gozzini.
L’articolo 48 O.P. stabilisce che : “Il regime di semilibertà consiste nella concessione al condannato e all’internato di trascorrere parte del giorno fuori dell’istituto per partecipare ad attività lavorative, istruttive o comunque utili al reinserimento sociale“.
Ai sensi dell’art. 50 O.P., il regime di semilibertà è ammissibile per la pena dell’arresto e la pena della reclusione non superiore a sei mesi, se il condannato non è affidato in prova al servizio sociale e sempre che il condannato ha dimostrato la propria volontà di reinserimento nella vita sociale. Per il computo della durata delle pene non si tiene conto della pena pecuniaria inflitta congiuntamente a quella detentiva.
Il condannato può essere ammesso al regime di semilibertà soltanto dopo l’espiazione di almeno metà della pena, o, se si tratta di condannato per uno dei reati indicati nel comma 1 dell’art. 4 bis O.P., di almeno due terzi della pena, mentre il condannato all’ergastolo può essere ammesso al regime di semilibertà dopo avere espiato almeno venti anni di pena.
In particolare, il condannato deve scontare almeno due terzi della pena per taluno dei delitti indicati nel comma 1 dell’articolo 4-bis ovvero per reati associativi (416 bis e 416 ter del codice penale) e per delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, e solo nei casi in cui tali detenuti e internati collaborino con la giustizia ovvero l’integrale accertamento dei fatti e delle responsabilità, operato con sentenza irrevocabile, rendono comunque impossibile un’utile collaborazione con la giustizia. I detenuti o internati per delitti di omicidio, prostituzione minorile, estorsione, violenza sessuale con minori e di gruppo possono essere ammessi alla semilibertà purché non vi siano elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva.
L’ammissione al regime di semilibertà è disposta in relazione ai progressi compiuti nel corso del trattamento, quando vi sono le condizioni per un graduale reinserimento del soggetto nella società.
La concessione della misura alternativa di cui all’art. 50 O.P., a differenza di quella prevista dal precedente art. 47, è subordinata alla presenza di un preciso requisito soggettivo, definito dal comma quarto dell’art. 50 O.P. in termini di “progressi compiuti nel corso del trattamento“. Ciò vale a metterne in luce la funzione promozionale ed il carattere premiale: nel connettere la modifica migliorativa dell’esecuzione della pena all’adesione ad un certo modulo comportamentale, la stessa previsione astratta della semilibertà incentiva il condannato all’integrazione della condotta assunta a presupposto della misura, condizionandolo alla collaborazione al trattamento, e la sua concessione ne premia lo sforzo partecipativo concretamente dimostrato. (Cass., n. 32128/2020)
Secondo l’ormai consolidata giurisprudenza di legittimità ai fini della concessione della semilibertà occorrono “due distinte indagini, una concernente i risultati del trattamento individualizzato e l’altra relativa all’esistenza delle condizioni che garantiscono un graduale reinserimento del condannato nella società, implicanti la presa di coscienza, attraverso l’analisi, delle negative esperienze del passato e la riflessione critica proiettata verso il ravvedimento” (da ultimo, Cass., Sez. 1, n. 20005 del 09/04/2014). In altri termini, la semilibertà non si fonda tanto su di un giudizio prognostico in ordine al comportamento futuro del condannato, bensì si fonda sulla valutazione positiva di comportamenti già posti in essere e manifestati (Cass., Sez. 1, n. 2873 del 21.04.1997).
Ai sensi dell’art. 51 O.P.: “Il provvedimento di semilibertà può essere in ogni tempo revocato quando il soggetto non si appalesi idoneo al trattamento“.