La Suprema Corte di Cassazione con la sentenza che si riporta in commento affronta la questione inerente l’inserimento dell’ordinanza ex art. 464-quater C.p.P. tra i provvedimenti iscrivibili nel casellario giudiziale ad uso privato e/o amministrativo.
Invero, se la scelta del legislatore di inserire la suddetta ordinanza tra i provvedimenti iscrivibili nel casellario giudiziale ex art. 3 d.P.R. n. 313 del 2002 è rinvenibile nell’esigenza di mettere l’autorità giudiziaria a conoscenza dell’ammissione del soggetto indagato/imputato alla messa alla prova per impedire la fruizione per una seconda volta dello stesso beneficio, tale ratio non può valere per il casellario a richiesta dell’interessato ex artt. 24 e 25 che dovrà essere poi prodotto ad altri privati o enti pubblici.
Sebbene sia privo di un accertamento di responsabilità penale dell’imputato e presupponga condotte riparatorie ai sensi dell’art. 464-quinquies C.p.P., lo svolgimento di lavori socialmente utili, percorsi di sensibilità e di recupero sociale, il relativo provvedimento viene inserito nel casellario giudiziale richiesto dall’interessato, con effetto potenzialmente pregiudizievole nei vari ambiti in cui il richiedente intendesse farne uso, a differenza di quanto accade per il decreto penale di condanna, ovvero per la sentenza di patteggiamento a pena sospesa ed ex art. 445 C.p.P.
La violazione dell’art. 3 Cost. appare ancor più lampante se si considera che gli artt. 24 e 25 escludono l’iscrizione delle pronunce di proscioglimento ex art. 131-bis C.p. per particolare tenuità del fatto, che pure implica l’accertamento della penale responsabilità dell’imputato, poi dichiarato non punibile ed è riferibile a reati puniti con pena sino a cinque anni di reclusione e non a quattro, come nel caso della messa alla prova, che prevede soltanto un vaglio per individuare eventuali cause di non punibilità ex art. 129 C.p.P.
A dirimere la questione è intervenuta la pronuncia della Corte Costituzionale n. 231 del 7 novembre 2018, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 24 e 25 del d.P.R. 14 novembre 2002, n. 313, T.U. in materia di casellario giudiziale, nella parte in cui prevedono che nel certificato “generale” e nel certificato “penale” del casellario, richiesti dall’interessato, siano annotate l’ordinanza di sospensione del procedimento con messa alla prova di cui all’art. 464-quater C.p.P. e la sentenza con la quale, in caso di esito positivo della prova, il giudice dichiari estinto il reato ai sensi dell’art. 464-septies C.p.P.
La Consulta ha quindi ravvisato un contrasto tra le due norme scrutinate e da un lato il principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost., dall’altro la funzione rieducativa della pena ex art. 27, comma 3, Cost. Sotto il primo profilo, ha osservato che, diversamente da quanto stabilito per il patteggiamento ed il procedimento per decreto penale, per i quali il T.U. prescriveva l’esenzione dall’iscrizione nei certificati del casellario richiesti dall’interessato al fine di incentivare il ricorso a tali strumenti di più sollecita definizione del processo, per la messa alla prova che è orientata anch’essa a far pervenire il giudizio ad una rapida conclusione e ad assicurare un vantaggio all’imputato che vi accede, non si giustifica un trattamento diverso e deteriore a fronte di un “un percorso che comporta l’adempimento di una serie di obblighi risarcitori e riparatori in favore della persona offesa e della collettività“.
Ha altresì riscontrato la irragionevole disparità di trattamento rispetto alla disciplina prevista per tutte le sentenze di condanna nel senso che il condannato, se riabilitato, può conseguire la non menzione della condanna nei certificati richiesti dall’interessato, beneficio escluso per la sentenza che dichiara l’estinzione del reato per esito positivo della messa alla prova, che non costituisce una pronuncia di condanna.
Quanto al contrasto con l’art. 27, comma 3, Cost., la Consulta ha affermato “l’appartenenza dell’istituto della messa alla prova al sistema sanzionatorio penale” e vi ha riconnesso una duplice funzione, special-preventiva e di risocializzazione del reo, finalità che verrebbe frustrata dall’annotazione nei certificati del casellario a richiesta dei privati della sentenza di estinzione del reato ed anche dell’ordinanza di sospensione del processo, in grado di creare all’imputato, in questo secondo caso presunto innocente, “più che prevedibili difficoltà nell’accesso a nuove opportunità lavorative“, senza l’esistenza di un preminente interesse collettivo di rilievo costituzionale, mentre la presenza dei provvedimenti relativi alla messa alla prova nel certificato ad uso giudiziale assicura che il soggetto non vi possa fare accesso più di una volta.
Corte di Cassazione Penale Sent. Sez. 1 Num. 19329 Anno 2019