La Suprema Corte di Cassazione con la sentenza che si riporta in commento affronta la questione inerente la prestazione di condotte volte all’eliminazione delle conseguenze dannose del reato e il risarcimento del danno nell’ambito della sospensione del procedimento per messa alla prova.
L’art. 168-bis C.p., nel fissare le condizioni per la sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato richiede la prestazione di condotte riparatorie, volte all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, nonché, ove possibile, il risarcimento del danno cagionato.
La subordinazione della messa alla prova all’impegno risarcitorio dell’imputato e la previsione della sua revoca o della declaratoria del suo esito negativo in caso di suo inadempimento inducono ad affermare che il risarcimento della vittima sia un suo presupposto, non alternativo ma congiunto alla eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose. Il risarcimento del danno svolge anche una funzione special-preventiva consentendo all’imputato una “revisione critica sulla condotta criminosa realizzata“.
E’ stato, peraltro, ritenuto che non è sufficiente la mera presentazione dell’istanza di sospensione di messa alla prova con l’annuncio di una condotta riparatoria non seguita da comportamenti concreti che consentano al giudice di valutare la serietà dell’istanza (Cass., Sez. 3, n. 13235 del 02/03/2016).
E’ ben vero che l’art. 168-bis C.p. stabilisce che il risarcimento è dovuto “ove possibile“. L’esigibilità deve, dunque, essere valutata in concreto, con riguardo alla singola vicenda portata all’esame del giudice. In particolare, fra le ipotesi di inesigibilità, si pensi al reato commesso quando lo stesso non abbia comportato per i terzi un danno o comunque un pregiudizio quantificabile o all’ipotesi di irreperibilità della persona offesa o degli aventi diritto ovvero il rifiuto da parte della persona offesa di ogni contatto con l’imputato; anche in questi casi, è comunque pur sempre richiesto all’imputato un tentativo diligente di operare il detto risarcimento, poiché il mancato assolvimento da parte dell’interessato del dovere di adempiere alle obbligazioni ex delicto deve essere valutato dal giudice al fine del giudizio in ordine all’esito della messa alla prova.
Nell’ipotesi di mancanza di disponibilità delle risorse economiche per procedere al risarcimento (come nel caso di specie), l’inciso “ove possibile“, contenuto nel comma 2 dell’art. 168-bis C.p., deve essere letto nel senso che il risarcimento del danno deve corrispondere “ove possibile” al pregiudizio patrimoniale arrecato alla vittima sicché, ove esso non sia tale, deve comunque essere la espressione dello sforzo “massimo” pretendibile dall’imputato alla luce delle sue condizioni economiche che il giudice ha la possibilità di verificare con i propri poteri ufficiosi. Anche l’esercizio della facoltà, prevista dall’art 464-bis, comma 5, C.p.P., di procedere ad accertamenti tramite la polizia giudiziaria è rimesso alla discrezionalità del giudice.
Cass. Penale Sent. Sez. 5 n. 26543/2021