Il principio di sinteticità degli atti processuali, sia con riguardo al giudice che con riguardo alle parti, è stato introdotto nell’ ordinamento processuale con l’articolo 3, secondo comma, del codice del processo amministrativo, approvato con il Decreto Legislativo n. 104/2010, alla cui stregua, “Il giudice e le parti redigono gli atti in maniera chiara e sintetica“.
Tale disposizione esprime un principio generale del diritto processuale, destinato ad operare anche nel processo civile, in quanto funzionale a garantire, per un verso, il principio di ragionevole durata del processo, costituzionalizzato con la modifica dell’ art. 111 Costituzione, e, per altro verso, il principio di leale collaborazione tra le parti processuali e tra queste ed il giudice.
La smodata sovrabbondanza espositiva degli atti di parte, infatti, non soltanto grava l’amministrazione della giustizia e le controparti processuali di oneri superflui, ma, lungi dall’ illuminare i temi del decidere, avvolge gli stessi in una cortina che ne confonde i contorni e ne impedisce la chiara intelligenza, risolvendosi, in definitiva, in un impedimento al pieno e proficuo svolgimento del contraddittorio processuale.
Il principio di sinteticità degli atti processuali non è tuttavia assistito da una specifica sanzione processuale, cosicchè l’incontinenza espositiva, pur quando assuma caratteri di manifesta eccessività, non può determinare, di per se stessa, l’inammissibilità del ricorso per cassazione.
Nel nostro ordinamento manca, infatti, una esplicita sanzione normativa della prolissità e oscurità degli atti di parte, sia in generale e sia con specifico riferimento al ricorso per cassazione; così come manca la previsione di un potere della Corte di Cassazione di fissare essa stessa i limiti dimensionali degli atti di parte nel giudizio di legittimità.
Non può quindi ritenersi praticabile, in assenza di una previsione normativa espressa, la sanzione della inammissibilità per l’irragionevole estensione del ricorso per cassazione, dovendosi per contro ritenere che l’auspicabile obiettivo di un processo (anche) di legittimità introdotto da atti chiari e sintetici, che deducano con immediatezza e nitore concettuale tutto quello che serve per decidere e solo quello che serve per decidere, non può essere raggiunto, a legislazione invariata, senza il volontario coinvolgimento dell’Avvocatura, perseguibile con tecniche di soft law e fondato sull’utilità che ciascun attore del processo può trarre dalla modifica delle proprie abitudini professionali.
La violazione del principio di sinteticità, tuttavia, se non determina di per se stessa l’inammissibilità del ricorso per cassazione, “espone al rischio” di una declaratoria d’inammissibilità dell’impugnazione.
Detta violazione, infatti, rischia di pregiudicare la intelligibilità delle questioni sottoposte all’esame della Corte, rendendo oscura l’esposizione dei fatti di causa e confuse le censure mosse alla sentenza gravata e quindi, in definitiva, ridondando nella violazione delle prescrizioni, queste sì assistite da una sanzione testuale di inammissibilità, di cui ai n. 3 e 4 dell’art. 366 C.p.C.
Corte di Cassazione Sentenza n. 21297 Anno 2016