Giudice di Pace e particolare tenuità del fatto

giudice di paceLa giurisprudenza di legittimità ha già avuto modo di affermare che nel procedimento dinanzi al giudice di pace non trova applicazione la causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131 bis C.p., prevista esclusivamente per il procedimento davanti al giudice ordinario.

Tale orientamento si basa sui molteplici profili che differenziano le due fattispecie di cui all’art. 34 D.Lgs. n. 274 del 2000 e all’art. 131 bis C.p.

Da un primo punto di vista, la delimitazione dell’area dei reati suscettibili di declaratoria di improcedibilità per la particolare tenuità del fatto ex art. 34 D.Lgs n. 274/2000 non conosce, a differenza della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis (applicabile ai reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni), alcuna limitazione quoad poenam.

Significative, anche se parziali, sono poi le divergenze tra i due istituti sul piano della definizione normativa dei relativi presupposti applicativi.

Se nell’uno e nell’altro caso, punto di riferimento dell’accertamento giudiziale è la fattispecie concreta, la declaratoria di improcedibilità per la particolare tenuità del fatto nel procedimento davanti al giudice di pace implica la valutazione congiunta degli indici normativamente indicati, ossia l’esiguità del danno o del pericolo, il grado di colpevolezza e l’occasionalità del fatto: valutazione, questa, alla quale deve associarsi la considerazione del pregiudizio che l’ulteriore corso del procedimento può recare alle esigenze di lavoro, di studio, di famiglia o di salute della persona sottoposta ad indagini o dell’imputato, ossia la considerazione di interessi individuali “in conflitto” con l’istanza punitiva.

D’altra parte, la causa di non punibilità introdotta con l’art. 131 bis C.p. fa leva su un giudizio di particolare tenuità del fatto e di non abitualità della condotta ancorato ad “una valutazione complessa che ha ad oggetto le modalità della condotta e l’esiguità del danno o del pericolo valutate ai sensi dell’art. 133, primo comma, C.p.”.

La novella del 2015 ha poi delineato una serie di parametri di definizione negativa della “particolare tenuità” del fatto (art. 131 bis, secondo comma, C.p.) e di definizione positiva dell’abitualità del comportamento (art. 131 bis, terzo comma, C.p.): nell’una e nell’altra direzione, detti parametri si riferiscono ad elementi ostativi alla configurabilità della causa di non punibilità.

Netta è poi la divaricazione tra i due istituti in punto definizione del ruolo della persona offesa nel perfezionamento delle fattispecie.

La disciplina di cui all’art. 34 cit. attribuisce alla persona offesa una “facoltà inibitoria” ricollegabile alla “valutazione del legislatore circa la natura eminentemente conciliativa” della giurisdizione di pace, che dà risalto peculiare alla posizione dell’offeso del reato; al contrario, l’istituto previsto dall’art. 131 bis C.p. non prevede (salvo che per la particolare ipotesi di cui all’art. 469 C.p.P.) “alcun vincolo procedurale conseguente al dissenso delle parti“.

Il diverso ruolo riconosciuto alla persona offesa nella definizione normativa dei presupposti applicativi della causa di non punibilità codicistica e di quelli della causa di improcedibilità ex art. 34 cit. rinviene il proprio fondamento giustificativo, nella finalità conciliativa, che rappresenta un tratto fondamentale del sistema delineato dal D.Lgs. n. 274 del 2000: infatti, come ha più volte sottolineato la giurisprudenza costituzionale, la “finalità conciliativa” costituisce il principale obiettivo della giurisdizione penale del giudice di pace, sicché al giudice di pace “è istituzionalmente assegnato il compito di favorire, per quanto possibile, la conciliazione tra le parti “; al quadro normativo che riconosce un particolare favor alla conciliazione tra le parti sono ricollegabili anche i tratti di semplificazione e snellezza del procedimento, tratti che, appunto, ne esaltano la funzione conciliativa. In linea con la ricostruzione offerta dal giudice delle leggi è la giurisprudenza di legittimità, che sottolinea come al giudice di pace il legislatore affidi “una funzione conciliativa che connota l’intero rito regolato” dal D.Lgs. n. 274 del 2000.

Le divergenze nella disciplina dei due istituti con riguardo alla definizione normativa dei relativi presupposti applicativi, da un lato, e la riconducibilità di esse principalmente alla “finalità conciliativa” propria della giurisdizione penale del giudice di pace, dall’altro, rendono ragione dell’inapplicabilità della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis C.p. ai reati attribuiti alla competenza del giudice di pace.

I connotati di specialità rinvenibili, soprattutto sotto il profilo del ruolo della persona offesa, nella disciplina dettata dall’art. 34 D.Lgs. n. 274 del 2000 escludono senz’altro che detta norma sia stata tacitamente abrogata dalla novella del 2015, non sussistendo il presupposto dell’incompatibilità tra le due diverse discipline, come confermato dai lavori preparatori della novella del 2015.

I medesimi connotati conducono ad escludere che per i reati di competenza del giudice di pace possa trovare applicazione la causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131 bis C.p., soluzione, questa, imposta dalla disciplina dettata dall’art. 16 C.p. e destinata appunto a regolare i rapporti tra il codice penale e le altre leggi penali; espressione del principio di specialità, l’art. 16 C.p. conferma la conclusione secondo cui nei rapporti tra il codice penale, come legge generale, e le leggi speciali, le disposizioni del primo si applicano anche alle materie regolate dalle seconde in quanto non sia da queste diversamente stabilito.

Prima ancora che sul terreno processuale (e, dunque, sulla base della disciplina ex art. 2, comma 1, D.Lgs. n. 274 del 2000), l’art. 16 C.p. esclude, sul terreno sostanziale, l’applicabilità della norma codicistica ai reati di competenza del giudice di pace.

Soluzione, questa, che, oltre ad essere imposta dalla norma regolatrice dei rapporti tra il codice penale e le altre leggi penali dettata dall’art. 16 C.p., è coerente con l’interpretazione sistematica orientata a valorizzare il favor per la conciliazione tra le parti che ispira la giurisdizione penale del giudice penale: è di tutta evidenza, infatti, che la “finalità conciliativa” propria di tale giurisdizione verrebbe, inevitabilmente, compromessa dall’applicabilità della causa di non punibilità codicistica svincolata dai peculiari profili della disciplina di cui all’art. 34 cit. messi in luce.

Corte di Cassazione Penale Sent. Sez. 5 Num. 47523 Anno 2016

2 thoughts on “Giudice di Pace e particolare tenuità del fatto

  1. Gina Carnevale ha detto:

    Il giudice di pace, se da un lato ha permesso di snellire i procedimenti cosiddetti “tenui”, dall’altra parte ha sminuito la loro importanza. Se consideriamo che anche in televisione si svolgono processi e si emettono sentenze, il cittadino è disorientato e forse va perdendo quella” fiducia” che, invece, un organo come la Magistratura meriterebbe.
    L’articolo ha suscitato grande interesse.

    1. Avv. Francesco Meatta ha detto:

      Grazie del suo acuto commento. Sempre molto gradito.

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