E’ applicabile alla procedura penale minorile delle disposizioni di cui al titolo II del libro VI del cod. proc. pen. ordinario (artt. da 444 a 448 c.p.p.) nel caso in cui l’imputato sia divenuto maggiorenne e non possa godere degli altri benefici previsti nella procedura penale minorile?
Nel caso di specie l’imputato, divenuto maggiorenne nel corso del procedimento, ha precedenti penali che non gli consentono di ottenere la sospensione condizionale della pena né il perdono giudiziale, per cui ha interesse ad accedere al patteggiamento.
Va al riguardo osservato che il c.d. patteggiamento non è sorretto dalla finalità di concedere un beneficio all’imputato, ma è piuttosto uno strumento, basato su un accordo tra accusa e difesa, volto a conseguire obiettivi di rapidità e di economia processuale: da un lato l’imputato concorda con il pubblico ministero la misura della pena, diminuita sino ad un terzo, ed ottiene altre agevolazioni premiali; dall’altro l’amministrazione della giustizia consegue il vantaggio di definire il procedimento in tempi brevi, evitando la fase del dibattimento. Si tratta quindi di un procedimento speciale che comunque si conclude con una sentenza, equiparata ad una pronuncia di condanna, che irroga una pena, anche detentiva, all’imputato, la cui disciplina e il cui ambito di applicazione rientrano nella sfera della discrezionalità del legislatore, sulla base di valutazioni dettate soprattutto da esigenze di deflazione del carico giudiziario e di speditezza processuale.
La scelta del legislatore di escludere espressamente tale istituto (e il decreto penale di condanna) dalle varie forme di definizione anticipata del procedimento previste dal Capo III del d.P.R. n. 448 del 1988 corrisponde quindi ad un ponderato bilanciamento tra le esigenze di economia processuale, che avrebbero consigliato di ammettere forme di “patteggiamento” anche nel procedimento a carico di imputati minorenni, e le peculiarità del modello di giustizia minorile adottato dall’ordinamento italiano, sorretto dalla prevalente finalità di recupero del minorenne e di tutela della sua personalità, nonché da obiettivi pedagogico-rieducativi piuttosto che retributivo-punitivi, richiamati dal preambolo dell’art. 3 della legge-delega 16 febbraio 1987, n. 81, e dagli artt. 1 e 9 del d.P.R. n. 448 del 1988 (cfr. in tale senso, tra le tante, sentenze n. 433 del 1997, nn. 135 e 125 del 1995, n. 125 del 1992, n. 206 del 1987, n. 122 del 1983).
In questa ponderazione, più che nella ratio della mancanza di maturità e di capacità di valutazione del minore in ordine alla scelta del rito, adombrata nella relazione al progetto preliminare delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni e richiamata dai giudici rimettenti e dalla parte privata a sostegno della illegittimità costituzionale della norma censurata in caso di raggiungimento della maggiore età, va dunque ricercata la ragione giustificatrice della soluzione adottata dal legislatore, nella quale non è dato riscontrare la violazione del parametro costituzionale evocato.
Al riguardo, giova precisare che la ratio della mancanza di maturità e di capacità di scelta del minorenne non è stata posta a fondamento della sentenza n. 135 del 1995, dalla quale i rimettenti traggono spunti a sostegno della fondatezza della specifica questione ora prospettata con riferimento agli imputati divenuti maggiorenni: nel dichiarare infondata analoga questione di legittimità costituzionale, allora relativa ad un imputato minorenne nel momento in cui aveva presentato richiesta di applicazione della pena e basata sulla asserita irragionevole disparità di trattamento rispetto all’istituto del giudizio abbreviato, ammesso invece tra le forme di definizione anticipata del procedimento minorile, la citata sentenza ha, per quanto qui interessa, escluso profili di irragionevolezza della disciplina censurata richiamandosi alla specificità del processo penale minorile, caratterizzato dall’esigenza primaria del recupero del minore.
Così come configurato dagli artt. 444 e segg. cod. proc. pen. – mediante una disciplina che consente di presentare al giudice la mera documentazione cartolare dell’accordo raggiunto tra imputato e pubblico ministero, e attribuisce al giudice stesso, previa verifica della insussistenza di cause di non punibilità ex art. 129 cod. proc. pen., un controllo limitato alla correttezza della qualificazione giuridica del fatto e alla congruità della pena, solo eventualmente integrato dalla verifica della volontarietà della richiesta o del consenso manifestato dall’imputato, affidata alla discrezionalità del giudice – l’istituto dell’applicazione della pena su richiesta delle parti non può quindi essere posto sullo stesso piano delle misure di favore specificamente previste nel procedimento penale a carico di imputati minorenni, sicché risulta ulteriormente confermata l’assenza dei denunciati profili di irragionevolezza e di ingiustificata disparità di trattamento anche in relazione alla posizione dell’imputato divenuto maggiorenne nel corso del giudizio.
Tale conclusione non implica, evidentemente, una pregiudiziale incompatibilità tra istituti che si richiamino alla struttura del “patteggiamento” e procedimento minorile, ben potendo il legislatore, nell’ambito della sua discrezionalità, prevedere tra gli epiloghi anticipati del procedimento nei confronti dei minorenni una forma di accordo sulla misura della pena adeguata ai principi e alle finalità che informano l’attuale sistema della giustizia penale minorile.
Nelle considerazioni sinora svolte rimane assorbito lo specifico profilo relativo alla situazione del minorenne che, a causa dei precedenti penali o dei trascorsi giudiziari, si troverebbe nell’impossibilità di usufruire dei particolari istituti di favore previsti dal Capo III del d.P.R. n. 448 del 1988: al riguardo, si deve comunque rilevare che i precedenti, penali o giudiziari, non precludono di per sé il ricorso, ove ne sussistano i presupposti, alle altre forme speciali di definizione anticipata del procedimento minorile, salvo per quanto concerne il perdono giudiziale.
CORTE COSTITUZIONALE sentenza n. 272 del 6-12 LUGLIO 2000