Tentiamo innanzitutto di ricostruire l’evoluzione del quadro normativo relativo all’abbruciamento dei residui vegetali, in rapporto alla disciplina in materia di smaltimento dei rifiuti, adottata in attuazione delle Direttive Europee e collocata all’interno del Codice dell’Ambiente di cui al Decreto Legislativo n. 152 del 2006 (Parte quarta: artt. 177-266).
Ai sensi di quanto originariamente stabilito dal Codice dell’Ambiente, infatti, erano esclusi dall’ambito dell’applicazione della disciplina della gestione dei rifiuti soltanto “le carogne ed i seguenti rifiuti agricoli: materie fecali ed altre sostanze naturali non pericolose utilizzate nelle attività agricole ed in particolare i materiali litoidi o vegetali e le terre da coltivazione, anche sotto forma di fanghi, provenienti dalla pulizia e dal lavaggio dei prodotti vegetali riutilizzati nelle normali pratiche agricole e di conduzione dei fondi rustici, anche dopo trattamento in impianti aziendali ed interaziendali agricoli che riducano i carichi inquinanti e potenzialmente patogeni dei materiali di partenza” (art. 185, comma 1, lettera e), del testo originario del d.lgs. n. 152 del 2006).
Nella vigenza di tale normativa, la Corte di Cassazione aveva ritenuto che l’eliminazione, mediante incenerimento, dei rami degli alberi tagliati fosse da considerarsi illecita, non potendo essere qualificata come una forma di utilizzazione di tali materiali nell’ambito di un’attività produttiva.
Il quadro normativo è mutato a seguito dell’entrata in vigore del Decreto Legislativo 3 Dicembre 2010, n. 205 (Disposizioni di attuazione della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 novembre 2008 relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive), il cui art. 13, riscrivendo integralmente l’art. 185 del Codice dell’Ambiente, e riprendendo letteralmente quanto stabilito dall’art. 2, paragrafo 2, lettera f), della direttiva n. 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, ha previsto, al comma 1, lettera f), che dall’applicazione della disciplina sui rifiuti sono escluse, tra l’altro, “le materie fecali, se non contemplate dal comma 2, lettera b), paglia, sfalci e potature, nonché altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso utilizzati in agricoltura, nella selvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa mediante processi o metodi che non danneggiano l’ambiente né mettono in pericolo la salute umana”.
Alla luce di questo nuovo quadro normativo, è mutata altresì la giurisprudenza di legittimità. Sempre la Corte di Cassazione ha, infatti, ritenuto che la combustione degli sfalci e dei residui da potatura, ove non abbia determinato un danno per l’ambiente o messo in pericolo la salute umana, rientri nella normale pratica agricola: dunque, i materiali relativi devono essere esclusi dal novero dei rifiuti.
Nonostante l’avallo della Corte di cassazione, la suddetta interpretazione è stata contraddetta dalle “Linee guida dell’attività operativa 2013” del Corpo forestale dello Stato, dettate con nota del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali del 10 aprile 2013, prot. n. 458. In esse, pur dandosi conto dell’entrata in vigore del D.lgs. n. 205 del 2010, se ne propone una interpretazione volta a sminuirne il contenuto innovativo, stabilendo che, salvo che vi sia un utilizzo in agricoltura o per la produzione di energia, “la combustione sul campo di rifiuti vegetali configura reato di illecito smaltimento dei rifiuti, sanzionato penalmente” dall’art. 256, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006.
Anche a seguito di tale interpretazione adottata dal Corpo forestale dello Stato, diversi legislatori regionali sono intervenuti sulla questione, con discipline di tenore diverso, ma tutte dirette a chiarire, sulla scorta di quanto già affermato dalla Corte di Cassazione, che l’abbruciamento dei residui vegetali, ove rispetti determinate condizioni, rientra nella normale pratica agricola ed è perciò attività sottratta alla disciplina dei rifiuti e alle relative sanzioni.
CORTE COSTITUZIONALE SENTENZA N. 16 ANNO 2015