Il reato di ricettazione è diretto alla tutela del patrimonio della persona ed è disciplinato dall’art. 648 Codice Penale:
“Fuori dei casi di concorso nel reato, chi, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto, acquista, riceve od occulta denaro o cose provenienti da un qualsiasi delitto, o comunque si intromette nel farle acquistare, ricevere od occultare, è punito con la reclusione da due ad otto anni e con la multa da euro 516 a euro 10.329. La pena è aumentata quando il fatto riguarda denaro o cose provenienti da delitti di rapina aggravata ai sensi dell’articolo 628, terzo comma, di estorsione aggravata ai sensi dell’articolo 629, secondo comma, ovvero di furto aggravato ai sensi dell’articolo 625, primo comma, n. 7-bis.
La pena è della reclusione sino a sei anni e della multa sino a euro 516, se il fatto è di particolare tenuità.
Le disposizioni di questo articolo si applicano anche quando l’autore del delitto da cui il denaro o le cose provengono non è imputabile o non è punibile ovvero quando manchi una condizione di procedibilità riferita a tale delitto“.
Dalla lettura della norma ne consegue che il reato di ricettazione è necessariamente collegato con un altro reato, commesso in data anteriore, al quale il soggetto autore della ricettazione non ha concorso e dal quale il soggetto autore della ricettazione intende procurare un profitto per sé stesso o per altri, mediante acquisto, detenzione o occultamento del bene di provenienza illecita (si tratta, infatti, di un reato a forma vincolata).
L’elemento soggettivo è il dolo specifico in quanto il fine principale del soggetto agente è quello di trarre un profitto per sé stesso o per altri (in relazione alla mancata indicazione di una legittima acquisizione del bene).
Invero, su tale punto, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, ai fini della configurabilità del reato di ricettazione, la prova dell’elemento soggettivo può essere raggiunta anche sulla base dell’omessa o non attendibile indicazione della provenienza della cosa ricevuta, la quale è sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente spiegabile con un acquisto in male fede (Cass. n. 29198/2010); d’altro canto ricorre il dolo di ricettazione nella forma eventuale quando l’agente ha consapevolmente accettato il rischio che la cosa acquistata o ricevuta fosse di illecita provenienza, non limitandosi ad una semplice mancanza di diligenza nel verificare la provenienza della cosa, che invece connota l’ipotesi contravvenzionale dell’acquisto di cose (ex art. 712 C.p.) di sospetta provenienza (Cass. n. 45256/2007).
In tal modo non si procede ad alcuna inversione dell’onere della prova, non richiedendosi all’imputato di provare la provenienza del possesso delle cose, ma soltanto di fornire una attendibile spiegazione dell’origine del possesso delle cose medesime, assolvendo non ad onere probatorio, bensì ad un mero onere di allegazione di elementi, che potrebbero costituire l’indicazione di un tema di prova per le parti e per i poteri officiosi del giudice, e che comunque possano essere valutati da parte del giudice di merito secondo i comuni principi del libero convincimento (in tal senso, Cass. S.U., n. 35535/2007).
In tema di ricettazione l’ipotesi attenuata prevista dal secondo comma dell’art. 648 C.p. non costituisce un’autonoma previsione incriminatrice, ma una circostanza attenuante speciale; ne consegue che, ai fini dell’applicazione della prescrizione, deve aversi riguardo alla pena stabilita dal primo comma del predetto articolo (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 14767 del 21/03/2017).
Mentre per quanto concerne la “particolare tenuità” nel delitto di ricettazione, secondo l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, va desunta da una complessiva valutazione del fatto che comprenda le modalità dell’azione, la personalità dell’imputato e il valore economico della “res” (Cass., Sez. 2, Sentenza n. 42866 del 20/06/2017). Ognuno di tali parametri può assumere una rilevanza assorbente quando sia sintomatico di una rilevanza economica significativa della condotta. (Cass. n. 2452/2021).