Stato di abbandono del minore straniero
La disciplina dell’adozione, contenuta all’interno della legge italiana di diritto internazionale privato (L. 31 maggio 1995, n. 218, artt. 38 – 41), si inserisce nel quadro della più complessa regolamentazione dell’istituto, disposta dalla L. 4 maggio 1983, n. 184, così come modificata dalla L. 31 dicembre 1998, n. 476, e dalla L. 28 marzo 2001, n. 149.
L’applicazione delle norme di cui alla L. n. 218 del 1995, art. 3841, richiede pertanto – come osservato in dottrina – una necessaria opera interpretativa di coordinamento con la disciplina complessiva della materia.
In proposito va anzitutto rilevato che l’art. 38 regola in primis – sul piano della disciplina legale – gli aspetti, classificati in dottrina come requisiti soggettivi (come il legame matrimoniale degli adottanti, la differenza di età tra adottante e adottato) ed oggettivi (come lo stato di abbandono del minore, l’affidamento preadottivo), che valgono come condizioni necessarie affinché il procedimento di adozione possa iniziare e come elementi costitutivi (ad esempio, il presupposto negativo della mancanza di qualità di figlio naturale di uno degli adottanti in capo all’adottando), cui l’ordinamento individuato dalla norma di conflitto riconduce la possibilità di emanazione dell’atto di adozione. E’ prevista, inoltre, una disposizione speciale, relativamente ai consensi richiesti per l’adozione (art. 38, comma 2).
Alcune incertezze si sono poste, peraltro, con specifico riferimento all’istituto concernente la dichiarazione di adottabilità del minore, prevista dalla L. n. 184 del 1983, artt. 8 e 15. Siffatta dichiarazione, pronunciata dal Tribunale per i minorenni, costituisce invero, per l’ordinamento italiano, un presupposto speciale dell’adozione, avendo essa carattere preliminare rispetto al procedimento destinato a sfociare nella pronuncia finale di adozione di un minore. Di talché a taluni interpreti non è sembrato agevole individuare la legge applicabile alla dichiarazione di adottabilità, giacché, nel momento in cui essa viene posta in essere, non è ancora possibile conoscere l’identità dei futuri adottanti.
È, tuttavia, evidente che la soluzione del problema è resa possibile dalla menzionata necessità di interpretare la legge sul diritto internazionale privato in coordinamento con la normativa italiana sull’adozione. Viene in rilievo, al riguardo, la L. n. 184 del 1983, art. 37 bis, a tenore del quale “al minore straniero che si trova nello Stato in situazione di abbandono si applica la legge italiana in materia di adozione, di affidamento e di provvedimenti necessari in caso di urgenza“. Il richiamo della legge italiana alla fattispecie della dichiarazione di adottabilità di minori stranieri che si trovino in Italia in situazione di abbandono (L. n. 184 del 1983, art. 8), che si evince dall’ampio tenore letterale della norma, segna, pertanto, il punto di raccordo tra la normativa nazionale ed il diritto internazionale privato, ed altresì tra la legge applicabile e la giurisdizione in materia, atteso che tale situazione di abbandono è ricompresa nella giurisdizione dei giudici italiani, secondo quanto prevede la L. n. 218 del 1995, art. 40.
D’altro canto, siffatta conclusione – in punto legge applicabile è rafforzata dalla L. n. 218 del 1995, art. 38, comma 1, ultima parte, laddove dispone che “si applica il diritto italiano quando è richiesta al giudice italiano l’adozione di un minore, idonea ad attribuirgli lo stato di figlio“.
Ad analogo risultato – sul piano della individuazione della legge applicabile e della conseguente giurisdizione in materia – si perverrebbe, peraltro, seguendo l’altra soluzione suggerita, in via alternativa, in dottrina, e cioè considerando la dichiarazione di adottabilità come un istituto di protezione dei minori cui si applicherebbe, pertanto, la legge di residenza abituale del minore in base a quanto dispone la L. n. 218 del 1995, art. 42, che richiama in materia la Convenzione dell’Aja del 5 ottobre 1961.
L’art. 1 di detta Convenzione, invero, recita: “Le autorità, così giudiziarie come amministrative, dello Stato di dimora abituale d’un minorenne sono (…) competenti a prendere delle misure per la protezione della persona o dei beni dello stesso“. Per il che il raccordo tra legge applicabile e giurisdizione del giudice chiamato ad applicarla riceve, per effetto di tale disposizione dell’art. 42, un’ulteriore, inequivocabile, conferma. Ed invero, fin dalla rubrica (“giurisdizione e legge applicabile in materia di protezione dei minori“), ma il raccordo è contenuto anche nello stesso comma 1 della norma (“la protezione dei minori è in ogni caso regolata dalla Convenzione dell’Aja del 5 ottobre 1961, sulla competenza delle autorità e sulla legge applicabile in materia di protezione dei minori“), legge e giurisdizione – per volontà del legislatore – sono fortemente avvinte, sicché l’una non può essere disgiunta dall’altra.
Da tale quadro normativo di riferimento deve, pertanto, desumersi che – ferma restando l’applicabilità della legge italiana al minore che si trovi nel territorio dello Stato e per il quale sia richiesta al giudice italiano l’adozione, ovvero uno degli atti a monte, come la dichiarazione di adottabilità, ai sensi della L. n. 184 del 1983, art. 37 bis, della L. n. 218 del 1995, art. 38, comma 1, ultima parte, nonché dell’art. 1 della Convenzione dell’Aja del 1961 – la giurisdizione in materia non può, di conseguenza, che essere attribuita al medesimo giudice italiano, a norma dell’art. 40 della legge da ultimo citata – la cui violazione è stata censurata dalla ricorrente, con il motivo di ricorso in esame – ed altresì in forza del menzionato art. 42 della stessa legge.
A conforto di tale impostazione va rilevato che – nel regime normativo previgente in materia di adozione nazionale – la Corte aveva già delineato un chiaro inquadramento della fattispecie normativa prevista dall’allora art. 37, della L. n. 184 del 1983, ora art. 37 bis della medesima legge.
Si era, per vero, affermato in proposito – e mutatis mutandis i principi affermati conservano la loro
attualità, stante la pressoché totale equivalenza dei due testi – che la L. n. 183 del 1984, art. 37 – ai sensi del quale nei confronti del minore straniero in stato di abbandono nel territorio dello Stato è operante la legge italiana in materia di adozione, di affidamento e di provvedimenti necessari in caso di urgenza – comporta non soltanto, sul piano processuale, la giurisdizione del giudice italiano, a prescindere dagli elementi di collegamento previsti dalla legislazione interna, ma anche, sul piano sostanziale, l’assoggettamento del rapporto alla normativa interna, in deroga alle comuni regole di diritto internazionale privato. Pertanto, qualora il tribunale per i minorenni dia inizio alla procedura per la dichiarazione di adottabilità di un minore straniero, in relazione allo stato di abbandono in cui lo stesso si trovi al momento dell’intervento, la circostanza che, successivamente a tale momento, le autorità del Paese d’origine richiedano il rimpatrio del minore, così come non è idonea ad escludere la giurisdizione italiana, non fa venir meno l’applicazione al rapporto della legge italiana, attesi gli stretti collegamenti tra giurisdizione e legge applicabile in materia (Cass., 04/11/1996, n. 9576).
Corte di Cassazione, Sez. U. – , Sentenza n. 35110 del 17/11/2021