
Venere e Adone. Opera di Tiziano Vecellio (e bottega). Galleria Nazionale d’Arte Antica di Palazzo Barberini, a Roma.
Venere e Adone è un dipinto (olio su tela, cm 187×184) realizzato nel 1560 circa dal pittore veneziano Tiziano Vecellio (e bottega), ed attualmente conservato presso la Galleria Nazionale d’Arte Antica di Palazzo Barberini, a Roma.
Si tratta di una versione di Venere e Adone eseguita dalla bottega di Tiziano Vecellio (Pieve di Cadore, 1488/1490 – Venezia, 27 Agosto 1576), annoverato tra i principali interpreti del Rinascimento italiano e massimo esponente della c.d. scuola veneziana. La versione più famosa dell’opera (databile al 1553 circa) è quella conservata al Museo del Prado di Madrid, mentre quella successiva (databile al 1555) è conservata alla National Gallery di Londra.
Il sommo maestro veneziano trae ispirazione dalle Metamorfosi di Ovidio ma va oltre la narrazione raffigurando sulla tela, secondo una libera interpretazione, il preciso momento in cui Adone, giovane bellissimo, viene invano trattenuto da Venere, dea dell’Amore, e parte per la caccia.
Adone, durante la caccia verrà ferito mortalmente da un cinghiale. Si percepisce l’intenso sentimento di Venere di non essere abbandonata: la dea seduta trattiene Adone con un abbraccio, consapevole del destino che attende l’amato, mentre quest’ultimo si sottrae tirato dai cani, mentre nella mano destra stringe la freccia. La nudità della dea evidenzia che tra i due amanti sia stato interrotto il rapporto amoroso, donando all’opera un carattere allo stesso tempo sia erotico che drammatico.
Accanto a Venere si trova la faretra con le frecce che ricorda che la dea si innamora perdutamente del giovane dopo essere stata ferita accidentalmente da una freccia di Cupido.
Nonostante le pose statiche, a titolo di esempio Amore che giace addormentato in disparte e non partecipa alla scena, l’opera è intrisa di un profondo dinamismo determinato dalla torsione del corpo di Venere e dalla postura di Adone, con la gamba sinistra protratta in avanti, che abbandona la dea per la caccia.