Alterazione o cambiamento delle abitudini di vita della persona offesa
L’alterazione o cambiamento delle abitudini di vita della persona offesa è alla base del reato di atti persecutori (ex art. 612 bis c.p.) e non del reato contravvenzionale di molestia (ex art. 660 c.p.).
Nel caso di specie, la condotta dell’imputato era, infatti, consistita in frequenti appostamenti di fronte all’ingresso dell’ufficio della persona offesa e in altri luoghi frequentati per ragioni lavorative, con insistenti telefonate, oltre che nel seguire la vittima in auto, e, infine, gli insulti rivolti alla persona offesa pubblicamente e con aggressività. Ne consegue che il giudizio della corte di merito poggia su una corretta lettura dei principi posti dalla giurisprudenza di legittimità in ordine ai criteri discretivi tra il reato di atti persecutori e la fattispecie contravvenzionale di molestia o disturbo di cui all’art. 660 c.p.
A fronte dei comportamenti contestati, a nulla vale il rilievo difensivo tesi a giustificare i predetti comportamenti data l’attività di “paparazzo” svolta dall’imputato. L’alterazione o cambiamento delle abitudini di vita della persona offesa, nel caso di specie quelle lavorative, a livello quotidiano, non può intendersi come puramente occasionale (Cass., Sez. 5, n. 1755 del 10.03.2021). La persona offesa, nel caso di specie, ha dovuto ricevere i propri clienti in luoghi diversi dal proprio ufficio, con detrimento per la propria riservatezza, a bloccare le telefonate in entrata e così via. Ciò ha cagionato nella persona offesa un perdurante stato di ansia e di paura, tale da ingenerare un giustificato timore per la propria sicurezza personale e da portare a una alterazione delle abitudini di vita (Cass., Sez. 5, n. 1813 del 17.11.2021).
La Corte di merito, nell’analizzare i vari comportamenti persecutori ponendoli in relazione agli effetti provocati sulla persona offesa, ha fatto buon governo dei canoni di giudizio elaborati dalla giurisprudenza, ad iniziare da quella costituzionale. Come ricordato la Corte Costituzionale n. 172 del 2014 ha affermato che il riferimento del legislatore alle abitudini di vita costituisce un chiaro e verificabile rinvio al complesso dei comportamenti che una persona solitamente mantiene nell’ambito familiare, sociale e lavorativo, e che la vittima è costretta a mutare a seguito dell’intrusione rappresentata dall’attività persecutoria, mutamento di cui l’agente deve avere consapevolezza ed essersi rappresentato, trattandosi di reato punibile solo a titolo di dolo.
Corte di Cassazione penale, sez. V, sentenza 10.11.2022, n. 42856