Amore malato e dipendenza affettiva
L’ “amore malato” e la dipendenza affettiva come incidono nel delitto di maltrattamenti in famiglia?
E, ancora, l’ambivalenza dei sentimenti manifestati dalla vittima nei confronti del partner (maltrattante), incapace di recidere definitivamente ogni legame con quest’ultimo, e la mutevolezza del comportamento del partner (maltrattante) ora aggressivo ed umiliante, ora implorante perdono integrano il delitto de quo?
Senza dover pensare al caso limite conosciuto nella letteratura scientifica come “sindrome di Stoccolma“, non è inconsueto riscontrare nella prassi, soprattutto in contesti familiari consolidati o comunque connotati da legami sentimentali particolarmente intensi, quella situazione emotiva – che la psicologia qualifica in termini di dipendenza affettiva – che induce una persona a ritenere che il proprio benessere dipenda da un’altra e la predispone, nonostante le sofferenze cagionate dal partner, ad accettare la prosecuzione della relazione.
Accettazione che ragionevolmente si connette, da un lato, all’esistenza di un forte legame affettivo, di un “amore malato“, tale da creare una controspinta dovuta a dinamiche da dipendenza; dall’altro lato, ad una situazione di soggezione psicologica determinata proprio dalla coartazione esercitata dall’agente nei confronti della persona offesa.
In tali casi, il “ripensamento” della persona offesa può allora trovare una spiegazione razionale proprio nell’esistenza di un forte legame affettivo, talvolta sfociante in dinamiche di vera e propria dipendenza, nonché nella condizione di soggezione psicologica determinata proprio dall’agire maltrattante dell’imputato.
Nondimeno, tale atteggiamento “ambivalente” non rende di per sé inaffidabile la narrazione delle violenze e delle afflizioni subite dall’autore dei maltrattamenti, né – d’altro canto – è suscettibile di far venir meno la materialità dei maltrattamenti allorché, nonostante gli intervalli di pacificazione, le condotte violente ed umilianti imposte alla vittima siano causa di vere e proprie sofferenze morali.
A tale proposito va invero ribadito il principio secondo cui il delitto di maltrattamenti in famiglia è integrato anche quando le sistematiche condotte violente e sopraffattrici non realizzano l’unico registro comunicativo con il familiare, ma sono intervallate da condotte prive di tali connotazioni o dallo svolgimento di attività familiari, anche gratificanti per la parte lesa, poiché le ripetute manifestazioni di mancanza di rispetto e di aggressività conservano il loro connotato di disvalore in ragione del loro stabile prolungarsi nel tempo (Cass. Sez. 6, n. 15147 del 19/03/2014, P., Rv. 261831).
Corte di Cassazione Sez. VI – sentenza 16 novembre 2018, n.51950