Beni realizzati usurpando un titolo di proprietà industriale
Dispositivo dell’art. 517 ter Codice Penale
Salva l’applicazione degli articoli 473 e 474 chiunque, potendo conoscere dell’esistenza del titolo di proprietà industriale, fabbrica o adopera industrialmente oggetti o altri beni realizzati usurpando un titolo di proprietà industriale o in violazione dello stesso è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a euro 20.000.
Alla stessa pena soggiace chi, al fine di trarne profitto, introduce nel territorio dello Stato, detiene per la vendita, pone in vendita con offerta diretta ai consumatori o mette comunque in circolazione i beni di cui al primo comma.
Si applicano le disposizioni di cui agli articoli 474 bis, 474 ter, secondo comma, e 517 bis, secondo comma.
I delitti previsti dai commi primo e secondo sono punibili sempre che siano state osservate le norme delle leggi interne, dei regolamenti comunitari e delle convenzioni internazionali sulla tutela della proprietà intellettuale o industriale
Deve osservarsi che la Corte di Cassazione ha più volte affermato che le due fattispecie introdotte dall’art. 517 -ter cod. pen., pur essendo accomunate sia dall’oggetto materiale del reato, individuato nei beni realizzati usurpando un titolo di proprietà industriale o in violazione di esso, sia dal trattamento sanzionatorio, differiscono per il regime della procedibilità, in quanto solo la previsione di cui al primo comma dispone che il reato sia procedibile a querela della persona offesa, mentre un’analoga specificazione non si rinviene nel secondo comma (vedi Cass., Sez. 3, n. 40312 del 13/07/2021; Sez. 2, n. 43374 del 19/09/2019).
Quanto all’elemento soggettivo, le due fattispecie di cui al primo ed al secondo comma dell’art. 517-ter cod. pen. differiscono per la necessità, ai fini dell’integrazione della previsione di cui al secondo comma, del dolo specifico, integrato dal fine dell’agente di trarre un profitto, finalità che deve connotare le condotte di introduzione nello Stato, detenzione per la vendita, porre in vendita con offerta diretta ai consumatori o di messa in circolazione dei beni realizzati usurpando un titolo di proprietà industriale o in violazione di esso, mentre tale finalità non è richiesta per le condotte sanzionate dal primo comma (ovvero fabbricare o adoperare industrialmente oggetti o altri beni).
La Corte di Cassazione ha già affermato (Cass., Sez. 3, n. 40312 del 13/07/2021) che, sebbene sia necessario, ai fini della configurabilità del reato di cui al secondo comma, accertare il fine di trarre un profitto rispetto alle condotte materiale descritte dalla norma incriminatrice, resta invece fermo, in ordine al parametro dell’usurpazione e della violazione del titolo di proprietà industriale dei beni, il criterio di imputazione soggettiva costituito dalla possibilità dell’agente di conoscere l’esistenza del titolo di proprietà industriale, criterio richiamato espressamente dal primo comma, ma che evidentemente vale anche rispetto al medesimo oggetto materiale delle condotte sanzionate dal secondo comma. È, quindi, a tal fine sufficiente la conoscibilità dell’esistenza del titolo di proprietà industriale sui beni cui si riferisce l’introduzione nello Stato, la detenzione per la vendita, il porre in vendita con offerta diretta ai consumatori o la messa in circolazione, conoscibilità la cui prova deve essere ovviamente ancorata a elementi fattuali concreti.
Corte di Cassazione sentenza n. 34910 del 2023