Le linee guida che governano l’eventuale sussistenza di una causa di giustificazione nell’ambito del diritto di critica poggiano sull’ampia elaborazione offerta dalla giurisprudenza di legittimità.
Uno Stato democratico garantisce e tutela il diritto di critica degli organi di informazione e dei cittadini circa l’operato delle persone preposte a funzioni o servizi pubblici.
La valenza offensiva di una determinata espressione deve essere riferita al contesto nel quale è stata pronunciata. Occorre calibrare la portata di una espressione in relazione al momento e al contesto sia ambientale che relazionale in cui la stessa viene profferita.
Non è ammessa una risposta giudiziaria repressiva che estenda la tutela prevista contro la lesione dell’onore o del decoro anche a casi di contestazione dell’operato altrui. (Cass., Sez. 5, n. 32907 del 30/06/2011).
La causa di giustificazione di cui all’art. 51 C.p., sub specie dell’esercizio del diritto di critica, ricorre quando i fatti esposti siano veri o quanto meno l’accusatore sia fermamente e incolpevolmente convinto, ancorché errando, della loro veridicità.
Il diritto di critica si concretizza in un giudizio valutativo che, postulando l’esistenza del fatto elevato a oggetto o spunto del discorso critico, trova una forma espositiva non ingiustificatamente sovrabbondante rispetto al concetto da esprimere; di conseguenza va esclusa la punibilità di coloriture ed iperboli, toni aspri o polemici, linguaggio figurato o gergale, purché tali modalità espressive siano adeguate e funzionali all’opinione o alla protesta, in correlazione con gli interessi e i valori che si ritengono compromessi (Cass., Sez. 1, n. 36045 del 13/06/2014).
Nell’esercizio del diritto di critica il rispetto della verità del fatto assume un rilievo più limitato e necessariamente affievolito rispetto al diritto di cronaca, in quanto la critica, quale espressione di opinione meramente soggettiva, ha per sua natura carattere congetturale, che non può, per definizione, pretendersi rigorosamente obiettiva ed asettica. (Cass., Sez. 5, n. 25518 del 26/09/2016).
Nella motivazione della sentenza della quinta sezione n. 36602 del 15/07/2010, la Corte di legittimità specifica:
«Per dirimere le divergenze sulla nozione di “continenza” occorre ricordare che di essa non si può invocare la esclusione sol perché le frasi pronunciate abbiano contenuto lesivo della altrui reputazione».
«Trattandosi di elemento costitutivo di una causa di giustificazione che dovrebbe valere a escludere la punibilità del reato di diffamazione, il requisito della continenza evidentemente è chiamato ad operare dopo che è stata accertata la sussistenza degli elementi oggettivo e soggettivo del reato in parola e sul presupposto, quindi, che si è riconosciuto che frasi denigratorie sono state pronunciate. Il requisito in parola, che la giurisprudenza costante della Cassazione richiede per la integrazione della esimente, riguarda invero essenzialmente “i termini” con i quali ci si è espressi, ossia le “espressioni utilizzate” (Cass., Sez. U., n. 37140 del 30/05/2001), il lessico, la modalità espositiva e solo di riflesso gli argomenti che ne derivano, posto che l’uso di epiteti o di qualificazioni di per se offensivi è considerato il sintomo inequivoco del fatto che non si può essere in presenza di una critica legittima, essendosi trascesi ad attacchi personali, necessariamente ingiustificati: attacchi che precludono, cioè, la possibilità di dare copertura alla esternazione mediante il bilanciamento dei diritti riconosciuti all’uomo sia come singolo che come componente di formazioni sociali ove si svolge al sua personalità (art. 2 Cost.), con il diritto, pure costituzionalmente riconosciuto, alla libera
manifestazione del pensiero».
«Viceversa, la continenza non può essere evocata anche come argomento a copertura della pretesa di selezione degli argomenti attraverso i quali si formulala critica perché questa, quale valore fondante fissato nella Costituzione, non può che basarsi sulla assoluta libertà di scelta degli argomenti sui quali si articola la esposizione stessa del proprio pensiero, sempre che siano rispettati anche gli altri due requisiti sopra ricordati (e cioè la verità del fatto da cui muove la critica e l’interesse sociale a conoscerla)».
«In alteri termini, se l’argomento rispetta il criterio della verità del fatto da cui muove la critica e se sussiste l’interesse sociale a conoscerla, è consentita dall’ordinamento la esposizione di opinioni personali lesive della altrui reputazione e quindi contenenti la rappresentazione di eventi infamanti, una volta che l’agente si sia affidato ad una esposizione misurata nel linguaggio».
Corte di Cassazione, Sez. V penale, 17 gennaio 2019, n. 8195