Clausole claims made

Clausole claims made Privata dimora rendita vitalizia Imputazione del pagamento Istanza di verificazione della scrittura privata disconosciuta Servitù per vantaggio futuro Contratto condizionale Azione surrogatoria Acquisto di immobile da uno dei coniugi successivamente al matrimonio Clausola penale Dazione differita della caparra confirmatoria Risoluzione del contratto preliminare per inadempimento Sottrazione internazionale di minore Impossibilità di provvedere ai propri interessi rate swap Intervento in appello costitutore di una banca di dati Competenza del Tribunale per i minorenni Limiti del giudicato Affidamento familiare "sine die" Compensazione impropria Deindicizzazione Interruzione del processo Incapacità a testimoniare Risarcimento del danno subito dal figlio Reati culturali Dare in sposa la propria figlia Relazione sentimentale durante il matrimonio Il requisito della continenza Bacheca facebook Principio di libertà della prova Pressione psicologica Ripetibilità delle somme percepite a titolo di assegno di mantenimento Risarcimento del terzo trasportato comunione de residuo Marchio di impresa Assunzione della prova testimoniale Impossibilità di procurarsi mezzi adeguati per ragioni oggettive Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio Alterazione o cambiamento delle abitudini di vita della persona offesa Violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza Termini a difesa Obbligazione assunta da un coniuge Risarcimento del danno non patrimoniale alla madre e ai fratelliClausole claims made

La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza in commento affronta la questione inerente le problematiche giuridiche che, nell’ambito dell’assicurazione della responsabilità civile, si agitano intorno alle c.d. “clausole claims made” (di seguito anche soltanto claims made o claims).

Giova anzitutto rammentare che dette clausole – come già evidenziato dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 9140 del 2016 – operano una deroga al modello di assicurazione della responsabilità civile delineato dall’art. 1917 c.c., comma 1, poichè la copertura assicurativa viene ad operare non “in relazione a tutte le condotte, generatrici di domande risarcitorie, insorte nell’arco temporale di operatività del contratto, quale che sia il momento in cui la richiesta di danni venga avanzata” (modello c.d. boss occurrence o act committed), bensì in ragione della circostanza che nel periodo di vigenza della polizza intervenga la richiesta di risarcimento da parte del terzo danneggiato (il c.d. claim) e che tale richiesta sia inoltrata dall’assicurato al proprio assicuratore.
Se questo è lo schema essenziale al quale si ispira il sistema c.d. “claims made” (letteralmente: “a richiesta fatta”), esso trova poi concretizzazione, nella prassi assicurativa, in base a più varianti, la cui riduzione alle due categorie più generali della claims “pura” (siccome imperniata sulle richieste risarcitorie inoltrate nel periodo di efficacia della polizza, indipendentemente dalla data di commissione del fatto illecito) e della claims “impura” (o mista: poichè operante là dove tanto il fatto illecito quanto la richiesta risarcitoria intervengano nel periodo di efficacia del contratto, con possibile retrodatazione della garanzia alle condotte poste in essere anteriormente) è frutto unicamente di convenzionale semplificazione, la quale, tuttavia, non può elidere la complessità del fenomeno.
Complessità che si apprezza, anzitutto, proprio a motivo di quelle varianti cui si faceva cenno, che introducono ulteriori previsioni pattizie orientate in più direzioni: per un verso, volte a rendere effettiva la copertura assicurativa rispetto a claims intervenute anche in un certo arco temporale successivo alla scadenza del contratto (c.d. sunset clause o clausola di ultrattività o di “postuma“); per altro verso, dirette a consentire all’assicurato, in aggiunta alla richiesta del danneggiato, di comunicare all’assicuratore, ai fini di operatività della polizza, anche le circostanze di fatto conosciute in corso di contratto e dalle quali potrebbe, in futuro, originarsi la richiesta risarcitoria (c.d. deeming clause).

Sono ben note le ragioni storiche che hanno dato luogo, nell’ambito del mercato assicurativo, a partire da quello anglosassone e, poi, statunitense della prima metà degli ‘80 del secolo scorso, alle clausole claims made, affermatesi – in estrema sintesi – come risposta all’aumento dei costi per indennizzo generato dall’espansione, qualitativa e quantitativa, della tutela risarcitoria, in particolar modo nell’area dei rischi c.d. lungo-latenti, ossia dei danni da prodotti difettosi, quelli ambientali e quelli da responsabilità professionale (segnatamente, in ambito di responsabilità sanitaria).
Di qui, per l’appunto (come ricordato dalla citata sentenza n. 9140 del 2016), l’esigenza, avvertita dalle imprese di assicurazione, di circoscrivere l’operatività della assicurazione ai soli sinistri “reclamati” durante la vigenza del contratto, così da consentire alla compagnia “di conoscere con precisione sino a quando sarà tenuta a manlevare il garantito e ad appostare in bilancio le somme necessarie per far fronte ai relativi esborsi“, con evidente ulteriore agevolazione nel calcolo del premio assicurativo.

Volgendo per un momento lo sguardo a quelle aree di cultura giuridica più vicine al nostro ordinamento, non è superfluo evidenziare come l’assicurazione “on claims made basis” sia stata oggetto già da tempo, in alcuni Paesi (ad es., Francia, Spagna e Belgio), di riconoscimento a livello di diritto positivo, sebbene con modulazioni particolari e (come accenna la stessa ordinanza interlocutoria n. 1475 del 2018) quale risposta al sostanziale sfavore della giurisprudenza (seppure una tale dinamica non colga propriamente la realtà spagnola).
In Francia, dapprima la L. 30 dicembre 2002, n. 1577 (c.d. Loi About), in materia di responsabilità sanitaria, ha previsto che la relativa assicurazione possa prevedere clausole c.d. “base reclamation“, per cui l’operatività della garanzia presuppone la richiesta risarcitoria del danneggiato ed è modulata con la previsione di una retroattività illimitata ed una ultrattività (“garantie subsèquente“) non inferiore a cinque anni ovvero di dieci anni per i medici liberi professionisti in caso di cessazione dell’attività o di decesso.
Di poco successiva è stata, quindi, l’emanazione della L. 1 agosto 2003, n. 706 (di “Securitè Financierè“), che, novellando il Code des Assurances, ha introdotto, accanto alla assicurazione incentrata sul “fait dommageabie” e per i soli rischi industriali e professionali, il meccanismo di garanzia “base reciamation“, imponendo, tuttavia, una durata quinquennale del relativo contratto.
In Spagna, all’esito di un vivo dibattito dottrinale e giurisprudenziale sulla validità o meno delle claims made, il legislatore (modificando la L. 8 novembre 1995, n. 30, art. 73 sull’ordinamento delle assicurazioni private) ha introdotto le claims made come clausole “limitative” dei diritti dei contraenti deboli, configurandone l’ammissibilità in base a due tipologie: 1) quella (post-copertura) che estende la garanzia ad un periodo minimo di almeno un anno rispetto alla scadenza del contratto; 2) quella che estende la copertura in modo retroattivo, ad evento dannoso verificatosi prima della conclusione del contratto, ma con richiesta di risarcimento intervenuta durante la vigenza del contratto.
Il dibattito rimane aperto (non sulla validità in astratto delle clausole claims made, ma) sulla qualificazione legislativa di “clausola limitativa dei diritti degli assicurati“, là dove la giurisprudenza (Trib. S. n. 2508/2014) sembra orientata a ritenere che le claims made siano piuttosto previsioni limitative dell’oggetto del contratto.
Infine, in Belgio, il meccanismo di garanzia improntato sulle clausole claims made è stato previsto dalla L. 25 giugno 1992, art. 78 sul contratto di assicurazione terrestre, successivamente modellato (nel dicembre 1994) con una ultrattività di trentasei mesi dalla scadenza della polizza (“garantie de posteritè“) ed escluso per i c.d. rischi di massa.

Invero – ed è opportuno darne conto sin d’ora -, anche nel nostro ordinamento l’assicurazione secondo il modello delle clausole claims made ha trovato, assai di recente, espresso riconoscimento legislativo, a seguito degli interventi recati, in particolare, dalla L. 8 marzo 2017, n. 24, art. 11 e D.L. 13 agosto 2011, n. 138, art. 3, comma 5, lett. e), (convertito, con modificazioni, dalla L. 14 novembre 2011, n. 148), come novellato dalla L. 4 agosto 2017, n. 124, art. 1, comma 26.
La prima disposizione, concernente l’obbligo (previsto dalla medesima L. n. 24, art. 10) di assicurazione delle strutture sanitarie per la responsabilità civile verso i terzi e i prestatori d’opera (che riguarda anche la stipula di polizze per la copertura della responsabilità civile verso terzi degli esercenti le professioni sanitarie di cui si avvalgano, ma non già dei sanitari “liberi professionisti“, ai sensi dello stesso art. 10, comma 2 per i quali trova applicazione l’art. 3 innanzi citato), stabilisce, anzitutto, che la “garanzia assicurativa deve prevedere una operatività temporale anche per gli eventi accaduti nei dieci anni antecedenti la conclusione del contratto assicurativo, purchè denunciati all’impresa di assicurazione durante la vigenza temporale della polizza“.

La norma prevede, poi, che, in caso di “cessazione definitiva dell’attività professionale per qualsiasi causa“, la garanzia debba contemplare “un periodo di ultrattività della copertura per le richieste di risarcimento presentate per la prima volta entro i dieci anni successivi e riferite a fatti generatori della responsabilità verificatisi nel periodo di efficacia della polizza, incluso il periodo di retroattività della copertura”. Una tale ultrattività “è estesa agli eredi e non è assoggettabile alla clausola di disdetta“.
E’ evidente che il meccanismo presupposto dall’art. 11 in esame non sia quello legato al “fatto accaduto durante il tempo dell’assicurazione” di cui all’art. 1917 c.c., comma 1 non avendo altrimenti ragion d’essere la previsione, al tempo stesso, di un periodo di retroattività e uno di ultrattività della copertura, sebbene, poi, la norma, in base alla sua formulazione letterale, evochi, per la copertura retroattiva, lo schema della deeming clause, innanzi richiamata, facendo riferimento alla sola “denuncia” dell’evento alla compagnia di assicurazione.
Del D.L. n. 138 del 2011, art. 3, il comma 5 (convertito, con modificazioni, dalla L. n. 148 del 2011), novellato nel 2017, riguarda invece l’obbligo di “stipulare idonea assicurazione” posto a carico dell’esercente una libera professione in relazione ai rischi da questa derivanti.
Ferma la libertà contrattuale delle parti, le condizioni generali di polizza “prevedono l’offerta di un periodo di ultrattività della copertura per le richieste di risarcimento presentate per la prima volta entro i dieci anni successivi e riferite a fatti generatori della responsabilità verificatisi nel periodo di operatività della copertura“. La previsione è, poi, resa applicabile “alle polizze assicurative in corso di validità alla data di entrata in vigore della presente disposizione“.
Nel caso dell’illustrato comma 5, sembra evidente, quindi, che il meccanismo prefigurato sia quello di una clausola claims made su cui si viene ad innestare una sunset clause.
Non può non rammentarsi, infine, che, sulla scia del D.L. n. 138 del 2011, originario art. 3, comma 5, (convertito, con modificazioni, dalla L. n. 148 del 2011) e del D.P.R. 7 agosto 2012, n. 137, correlato art. 5, la L. 31 dicembre 2012, n. 247, art. 12, comma 1, sul nuovo ordinamento della professione forense, ha imposto agli avvocati analogo espresso obbligo di assicurazione per la responsabilità civile, demandando (comma 5) al Ministro della giustizia la previsione, e l’aggiornamento, delle condizioni essenziali e dei massimali minimi di polizza.
Ne è scaturito il D.M. 22 settembre 2016, il cui art. 2, rubricato “Efficacia nel tempo della copertura assicurativa“, ha stabilito, in linea con il sistema claims made (con variante sunset clause), che la “assicurazione deve prevedere, anche a favore degli eredi, una retroattività illimitata e un’ultrattività almeno decennale per gli avvocati che cessano l’attività nel periodo di vigenza della polizza“, con esclusione, in capo all’assicuratore, della facoltà di recesso dal contratto “a seguito della denuncia di un sinistro o del suo risarcimento, nel corso di durata dello stesso o del periodo di ultrattività“.

Si riporta il seguente principio di diritto:


Il modello dell’assicurazione della responsabilità civile con clausole “on claims made basis”, che è volto ad indennizzare il rischio dell’impoverimento del patrimonio dell’assicurato pur sempre a seguito di un sinistro, inteso come accadimento materiale, è partecipe del tipo dell’assicurazione contro i danni, quale deroga consentita all’art. 1917 c.c., comma 1 non incidendo sulla funzione assicurativa il meccanismo di operatività della polizza legato alla richiesta risarcitoria del terzo danneggiato comunicata all’assicuratore. Ne consegue che, rispetto al singolo contratto di assicurazione, non si impone un test di meritevolezza degli interessi perseguiti dalle parti, ai sensi dell’art. 1322 c.c., comma 2, ma la tutela invocabile dal contraente assicurato può investire, in termini di effettività, diversi piani, dalla fase che precede la conclusione del contratto sino a quella dell’attuazione del rapporto, con attivazione dei rimedi pertinenti ai profili implicati, ossia (esemplificando): responsabilità risarcitoria precontrattuale anche nel caso di contratto concluso a condizioni svantaggiose; nullità, anche parziale, del contratto per difetto di causa in concreto, con conformazione secondo le congruenti indicazioni di legge o, comunque, secondo il principio dell’adeguatezza del contratto assicurativo allo scopo pratico perseguito dai contraenti; conformazione del rapporto in caso di clausola abusiva (come quella di recesso in caso di denuncia di sinistro)“. 

Corte di Cassazione civile sez. un. – 24/09/2018, n. 22437

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