Codice dei beni culturali

Codice dei beni culturali Limiti al diritto di manifestare liberamente La libertà di manifestazione del pensiero La tutela dei beni culturali Prostituzione volontaria Immobili ed aree di notevole interesse pubblico Reddito di cittadinanza Diffamazione a mezzo stampa giudizio abbreviato e immediato Controversie e provvedimenti in caso di inadempienze o violazioni Libertà e la segretezza della corrispondenza violenza sessuale di gruppoIl codice dei beni culturali prevede che «i beni culturali non possono essere distrutti, deteriorati, danneggiati o adibiti ad usi non compatibili con il loro carattere storico o artistico oppure tali da recare pregiudizio alla loro conservazione» (così art. 20, comma 1); viene stabilito, inoltre, che «l’esecuzione di opere e lavori di qualunque genere su beni culturali è subordinata ad autorizzazione del soprintendente. Il mutamento di destinazione d’uso dei beni medesimi è comunicato al soprintendente per le finalità di cui all’articolo 20, comma 1» (art. 21, comma 4). In senso analogo il citato codice dispone anche per i beni paesaggistici, prevedendo all’art. 146, comma 1, che «i proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo di immobili ed aree di interesse paesaggistico, tutelati dalla legge, a termini dell’articolo 142, o in base alla legge, a termini degli articoli 136, 143, comma 1, lettera d), e 157, non possono distruggerli, né introdurvi modificazioni che rechino pregiudizio ai valori paesaggistici oggetto di protezione»; gravando su tali soggetti «l’obbligo di presentare alle amministrazioni competenti il progetto degli interventi che intendano intraprendere, corredato della prescritta documentazione, ed astenersi dall’avviare i lavori fino a quando non ne abbiano ottenuta l’autorizzazione» (così il comma 2 del citato articolo).
Per quanto concerne il rapporto tra il legislatore regionale e la competenza esclusiva statale in materia di tutela dei beni culturali e del paesaggio, come risulta chiaramente dalle disposizioni richiamate, il sistema normativo dei beni culturali e paesaggistici non prevede un divieto aprioristico di compiere interventi sui beni vincolati: gli interventi sono infatti consentiti, a condizione che siano compatibili con il valore culturale e paesaggistico del bene, e tale compatibilità deve essere in concreto accertata mediante il procedimento di autorizzazione.
In altri termini, per un verso, la disciplina statale non è riducibile, sempre e comunque sia, all’immodificabilità assoluta e aprioristica dei beni vincolati; per l’altro, l’astratta possibilità di intervenire sui beni tutelati, nonché i limiti di tale intervento, sono contenuti già nel vincolo gravante sul bene, in funzione della tutela dei valori culturali, storici e paesaggistici che detti beni esprimono.
È, in definitiva, dalla disciplina vincolistica gravante sul bene tutelato che dipendono le possibilità di modifica di tali beni, e la tutela in concreto espressa da detti vincoli può (e deve) propendere verso la più rigida conservazione statica, ovvero verso la più elastica conservazione dinamica, secondo che i valori culturali, storici e paesaggistici si identifichino (e soprattutto dal grado di tale identificazione) con la struttura complessiva, con alcune forme, ovvero solo con singoli elementi del bene vincolato.
Da ciò deriva, del resto, la centralità dell’autorizzazione delle amministrazioni competenti, che è lo strumento volto al controllo della compatibilità degli interventi sul bene tutelato con il valore culturale, storico o paesaggistico espresso dallo stesso, nonché – con il relativo procedimento – la sede deputata al connesso bilanciamento degli interessi che insistono sul bene vincolato; bilanciamento il quale, se e in quanto ontologicamente incompatibile con la logica meramente inibitoria, può concludersi con il rilascio dell’autorizzazione ogni qual volta gli interventi su detti beni non siano suscettibili di incidere sulla conservazione e sulla fruizione pubblica dei valori culturali, storici, ambientali e paesaggistici costituzionalmente tutelati.

Corte Costituzionale sentenza n. 29 del 2021

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *