La Suprema Corte di Cassazione con la sentenza che si riporta in commento affronta al questione inerente i diritti del consumatore, così come disciplinati dal Codice del Consumo, e la responsabilità del venditore per qualsiasi difetto di conformità esistente al momento della consegna del bene.
Nel caso di specie, il consumatore ha chiesto in via principale solamente la eliminazione dei vizi e, in via subordinata, solamente il risarcimento del danno.
Nel caso in cui il bene consegnato al consumatore presenti un difetto di conformità del quale il professionista debba rispondere, il consumatore può far valere nei confronti del professionista inadempiente i rimedi contemplati dall’art. 130 codice del consumo: riparazione del bene, sostituzione dello stesso, riduzione del prezzo, risoluzione del contratto.
Tra i diritti che competono al consumatore, “nel caso di difetto di conformità”, l’art. 130 cod. consumo, comma 2 non annovera il diritto al risarcimento del danno cagionato dall’inadempimento. Ciò non significa peraltro che il consumatore che abbia ricevuto un bene non conforme al contratto non possa esercitare, nei confronti del professionista, delle pretese risarcitorie: il diritto al risarcimento del danno rientra senz’altro fra i “diritti” attribuiti al consumatore da “altre norme dell’ordinamento giuridico” italiano (art. 135 cod. consumo).
Costituisce consolidato orientamento della Corte di legittimità, in materia di garanzia per vizi nella vendita, che il compratore può esercitare l’azione di danni da sola, cioè senza chiedere nè la risoluzione, nè una riduzione del prezzo.
Orbene analoga facoltà non può essere negata al consumatore, qualora ricorra una delle situazioni di cui all’art. 130 cod. consumo, comma 7 che contempla in primo luogo proprio la situazione che la riparazione o la sostituzione siano impossibili o eccessivamente onerose.
E’ osservazione comune come l’art. 135 faccia espressamente salvi i “diritti che sono attribuiti al consumatore da altre norme dell’ordinamento giuridico” allo scopo di assicurare all’acquirente di beni di consumo uno standard di tutela più elevato rispetto a quello realizzato dalla direttiva n. 44/1999.
Secondo la corrente opinione dottrinaria, condivisa dalla giurisprudenza, il risarcimento del danno ha lo scopo di porre il compratore in una posizione economicamente equivalente non a quella in cui si sarebbe trovato se non avesse concluso il contratto o se l’avesse concluso a un prezzo inferiore, ma a quella in cui si sarebbe trovato se la cosa fosse stata immune da vizi, “La circostanza che un determinato prodotto si riveli inidoneo ad essere adoperato secondo le modalità indicate dal venditore e possa esserlo solo con modalità più dispendiose (per tempi di lavorazione e quantità da impiegare) ben può esser valutata dal giudice di merito ai fini del risarcimento del danno, oltrechè sotto l’aspetto della riduzione del prezzo poichè quest’ultima ristabilisce l’equilibrio patrimoniale solo con riguardo al valore della cosa venduta ma non elimina il danno determinato dal venditore, consistente nel costo delle maggiori quantità di prodotto utilizzato e di manodopera impiegata” (Cass. n. 1153/1995, cfr. altresì in materia di appalto, Cass. n. 4161/2015).
Una volta riconosciute, da un lato, l’esistenza del vizio, dall’altro, l’eccessiva onerosità della riparazione o sostituzione, l’azione di risarcimento del danno esercitata in via subordinata, non rimaneva circoscritta nei limiti del danno non coperto dalla sostituzione eccessivamente onerosa, ma si applicavano i comuni principi del diritto interno in tema di azione risarcitoria proposta da sola, in assenza di domanda di risoluzione o riduzione del prezzo.
Corte di Cassazione, Sez. II, 20/01/2020, n.1082