Diversità di sostanze stupefacenti e ipotesi di lieve entità
La diversità di sostanze stupefacenti può comportare l’applicabilità della lieve entità del fatto di cui all’ art. 73 comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990?
Nel caso di specie i giudici di merito avevano escluso la minima offensività dei fatti ascritti ai prevenuti, oggetto di diversi capi di imputazione, a seguito della diversità di sostanze stupefacenti, derubricandoli nell’ipotesi di cui al quinto comma del citato art. 73, solo nei casi di riscontrati quantitativi minimi di stupefacente e con riferimento ad un’unica tipologia di sostanza.
In proposito, si deve qui ribadire l’insegnamento delle Sezioni Unite della Corte di legittimità, secondo cui la diversità di sostanze stupefacenti oggetto della condotta non è di per sé ostativa alla configurabilità del reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, in quanto l’accertamento della lieve entità del fatto implica una valutazione complessiva degli elementi della fattispecie concreta, selezionati in relazione a tutti gli indici sintomatici previsti dalla disposizione (vedi Cass., S.U. n. 17/2000), (Cass., Sez. U, n. 51063 del 27/09/2018).
Il Supremo Consesso ha ben spiegato la funzione della norma di cui al comma 5 dell’art. 73 cit., che è quella di individuare quei fatti che si caratterizzano per una ridotta offensività, allo scopo di sottrarli al severo regime sanzionatorio previsto dalle altre norme incriminatrici contenute nell’art. 73 T.U. stup. – al cui ambito applicativo gli stessi fatti sarebbero altrimenti riconducibili – nella prospettiva di rendere il sistema repressivo in materia di stupefacenti maggiormente rispondente ai principi sanciti dall’art. 27 cost.
Ha, quindi, ribadito i principi affermati in precedenti arresti del Supremo Collegio (Cass., Sez. U, n. 35737 del 24/06/2010 e Cass., Sez. U, n. 17 del 21/06/2000) secondo cui, per l’appunto, la lieve entità del fatto può essere riconosciuta solo in ipotesi di «minima offensività penale della condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati dalla disposizione (mezzi, modalità, circostanze dell’azione), con la conseguenza che, ove uno degli indici previsti dalla legge risulti negativamente assorbente, ogni altra considerazione resta priva di incidenza sul giudizio».
Ha, però, precisato come il giudizio di riconducibilità del fatto nell’ipotesi lieve è il frutto di una valutazione complessiva degli elementi fattuali selezionati dalla norma, tanto che, già all’indomani della riforma operata dalla legge n. 162 del 1990 e della successiva entrata in vigore del T.U. stup., una pronunzia delle stesse Sezioni Unite aveva avuto modo di sottolineare – seppure in maniera sintetica ed assertiva – come gli indici qualificanti la lieve entità debbano essere, per l’appunto, «valutati globalmente» (Cass., Sez. U, n. 9148 del 31/05/1991). Tale interpretazione è stata ritenuta come la più aderente al dettato normativo, posto che il comma 5 dell’art. 73 elenca in maniera indistinta i diversi indicatori selezionati (limitandosi a raggrupparli a seconda che essi si riferiscano alla condotta od all’oggetto materiale del reato), astenendosi dallo stabilire un ordine gerarchico tra gli stessi o anche solo dall’attribuire ad alcuni un maggiore valore sintomatico. Ma, soprattutto, perché la disposizione citata condiziona la determinazione della lieve entità del fatto proprio su di una pluralità di elementi sintomatici, differenziandosi, ad esempio, dalla scelta compiuta dallo stesso legislatore nella individuazione della fattispecie di eccezionale rilevanza penale di cui al secondo comma dell’art. 80 T.U. stup. (cfr., Cass., Sez. U., n. 36258 del 24/05/2012), dove un singolo parametro (quello ponderale) è stato invece ritenuto di per sé sufficiente ad esprimere il maggiore disvalore del fatto.
È stato aggiunto che tale interpretazione della norma è quella che meglio corrisponde alla già ricordata ratio che ha ispirato la introduzione della fattispecie di lieve entità, vale a dire rendere la risposta repressiva in materia di stupefacenti compatibile con i principi di offensività e proporzionalità, nella consapevolezza del carattere variegato e mutante del fenomeno criminale cui si rivolge. In tale ottica è dunque richiesto – già al momento della sua qualificazione – di valutare la minore offensività del fatto, considerandolo nella sua concreta singolarità (e cioè effettiva consistenza lesiva) mediante la globale valutazione di tutti i dati sintomatici descritti dalla norma e delle relazioni intercorrenti tra i medesimi.
In tale prospettiva, le Sezioni Unite hanno dato conto del fatto che, all’esito della valutazione globale di tutti gli indici che determinano il profilo tipico del fatto di lieve entità, è poi possibile che uno di essi assuma in concreto valore assorbente e cioè che la sua intrinseca espressività sia tale da non poter essere compensata da quella di segno eventualmente opposto di uno o più degli altri.
Ma è per l’appunto necessario che una tale statuizione costituisca l’approdo della valutazione complessiva di tutte le circostanze del fatto rilevanti per stabilire la sua entità, alla luce dei criteri normativizzati, e non già il suo presupposto. Ed è parimenti necessario che il percorso valutativo così ricostruito si rifletta nella motivazione della decisione, dovendo il giudice, nell’affermare o negare la tipicità del fatto ai sensi dell’art. 73, comma 5, T.U. stup., dimostrare di avere vagliato tutti gli aspetti normativamente rilevanti e spiegare le ragioni della ritenuta prevalenza eventualmente riservata a solo alcuni di essi. Il che significa che il discorso giustificativo deve dar conto non solo dei motivi che logicamente impongono nel caso concreto di valutare un singolo dato ostativo al riconoscimento del più contenuto disvalore del fatto, ma altresì di quelli per cui la sua carica negativa non può ritenersi bilanciata da altri elementi eventualmente indicativi, se singolarmente considerati, della sua ridotta offensività. In tale ottica anche l’elemento ponderale – quello che più spesso assume un ruolo centrale nell’apprezzamento giudiziale – non è escluso dal percorso valutativo implicito nella formulazione dell’art. 73, comma 5, come rivela ancora una volta proprio il raffronto dello stesso con la già evocata disposizione di cui all’art. 80, comma 2, T.U. stup. In altri termini, la maggiore o minore espressività del dato quantitativo deve essere anch’essa determinata in concreto nel confronto con le altre circostanze del fatto rilevanti secondo i parametri normativi di riferimento (così, in motivazione, Cass., S.U. n. 51063/2018).
Corte di Cassazione, Sez. IV, sentenza n. 5129 del 14 febbraio 2022.