La Suprema Corte di Cassazione con la sentenza che si riporta in commento affronta la questione inerente la durata del lavoro di pubblica utilità di cui all’art. 54 L. 274/2000 con riferimento al periodo minimo e al periodo massimo stabilito dalla legge e alle modalità di prestazione. Ciò in relazione alla disposizione contenuta nell’art. 165, 1° comma, C.p., che stabilisce che “La sospensione condizionale della pena può essere subordinata … alla prestazione di attività non retribuita a favore della collettività per un tempo determinato comunque non superiore alla durata della pena sospesa, secondo le modalità indicate dal giudice nella sentenza di condanna“.
Secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità la prestazione di attività non retribuita a favore della collettività, cui può essere subordinata in mancanza di opposizione del condannato la sospensione condizionale della pena, ha una durata massima di sei mesi (pari a ventisei settimane) e deve essere svolta prestando sei ore di lavoro settimanali e, quindi, per una durata complessiva non superiore alle centocinquantasei ore, come correttamente statuito nella sentenza impugnata, salvo che il condannato chieda lo svolgimento della prestazione per una durata giornaliera superiore, che non può comunque eccedere le otto ore, in modo da abbreviarne i tempi di esecuzione (Cass., Sez. 1, n. 32649 del 16/06/2009; Cass., Sez. 4, n. 20297 del 05/03/2015).
L’art. 18-bis disp. coord. trans. C.p., aggiunto dall’art. 5, L. 11 Giugno 2004, n. 145, prevede che, nei casi di cui all’art. 165 C.p., il giudice dispone che il condannato svolga attività non retribuita a favore della collettività osservando, in quanto compatibili, le disposizioni degli artt. 44, 54, commi 2, 3, 4 e 6, e 59 del Decreto Legislativo 28 Agosto 2000, n. 274. Alla stregua di dette disposizioni, il lavoro di pubblica utilità non può essere di durata inferiore a dieci giorni né superiore a sei mesi e consiste nella prestazione di attività non retribuita in favore della collettività da svolgere presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni o presso enti o organizzazioni di assistenza sociale o di volontariato (art. 54, 2° comma, D.Lgs. 28/08/2000, n. 274). L’attività deve essere posta in essere nella provincia in cui il condannato risiede e comporta la prestazione di non più di sei ore di lavoro settimanale (salva diversa richiesta dell’obbligato ed approvazione del giudice) da svolgere con modalità e tempi che non pregiudichino le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute del condannato stesso (art. 54, 3° comma, D.Lgs. 28/08/2000, n. 274).
Il termine massimo di durata del lavoro stabilita dall’art. 54 del D.Lgs. 28/08/2000, n. 274, deve ritenersi superato dal tenore dello stesso art. 165, 1° comma, che lo determina nella durata della pena sospesa. Per meglio dire, la durata della prestazione soggiace a due limiti massimi cumulativi: sei mesi (art. 54, 2° comma, D.Lgs. 28/08/2000, n. 274) se inferiore, quello della pena sospesa; il termine minimo invece coincide con i dieci giorni indicati nell’art. 54, 2° comma, salvo che la pena sospesa sia di durata inferiore. Il protrarsi quotidiano della prestazione non può comunque superare le otto ore (art. 54, 4° comma, D.Lgs. 28/08/2000, n. 274). Le modalità di svolgimento del lavoro di pubblica utilità sono determinate dal Ministero della giustizia con decreto d’intesa con la Conferenza unificata di cui all’art. 8, D.Lgs. 28/08/1997, n. 281 (art. 54, 6° comma, D.Lgs. 28/08/2000, n. 274).
Corte di Cassazione Penale Sent. Sez. 2 Num. 29175 Anno 2020