Elementi costitutivi della premeditazione
E’ principio consolidato della giurisprudenza di legittimità quello secondo cui gli elementi costitutivi della premeditazione sono l’apprezzabile intervallo temporale tra l’insorgenza del proposito criminoso e l’attuazione di esso, tale da consentire una ponderata riflessione circa l’opportunità del recesso (elemento di natura cronologica) e la ferma risoluzione criminosa perdurante senza soluzione di continuità nell’animo dell’agente fino alla commissione del crimine (elemento di natura ideologica), con l’effetto che tale circostanza aggravante va esclusa quando l’occasionalità del momento di consumazione del reato appaia preponderante, ossia tale da neutralizzare la sintomaticità della causale e della scelta del tempo, del luogo e dei mezzi di esecuzione del reato (Sez. U, n. 337 del 18/12/2008, dep. 2009; fra le altre, Sez. 5, n. 42576 del 03/06/2015).
Con particolare riferimento all’elemento di natura cronologica, esso è rappresentato dal decorso di un intervallo di tempo apprezzabile fra l’insorgenza e l’attuazione del proposito delittuoso, con la specificazione che la consistenza minima dell’intervallo non può essere rigidamente quantificata in via generale e astratta: rileva in modo decisivo sul punto l’accertamento che tale lasso sia risultato in concreto sufficiente a far riflettere l’agente sulla grave decisione presa e a consentire il prevalere dei motivi inibitori su quelli a delinquere, per modo che egli – avendo avuto il tempo adeguato a permettergli di attivare la controspinta inibitoria della pulsione criminosa formatasi nel suo orizzonte volitivo, ma non essendosi avvalso di questa concreta possibilità di recedere dal suo proposito antisociale, mantenendolo fermo senza soluzione di continuità – si sia reso, in tal modo, responsabile di un comportamento più riprovevole e, quindi, più grave.
Fra l’esposizione del principio e la sua verifica nelle singole fattispecie varie sono le opzioni che la casistica fa emergere.
Costituisce, in ogni caso, monito particolarmente significativo quello secondo cui, in determinate condizioni, può non ritenersi, in via di principio, un sicuro indice rivelatore della premeditazione, che si sostanzia in una deliberazione criminosa coltivata nel tempo e mai abbandonata, l’intervallo di una notte tra la preparazione e l’esecuzione, così come non sempre possono trarsi elementi di certezza della stessa predisposizione di un agguato, perché quest’ultima attiene alla realizzazione del delitto e non è sufficiente a dimostrare l’esistenza di quel processo psicologico di intensa riflessione e di fredda determinazione che caratterizza l’indicata circostanza aggravante.
Ciò si è affermato tenendo anche conto del fatto che la premeditazione (come ricorda la Relazione al codice penale sostanziale) è stata conservata fra le circostanze aggravanti sul rilievo che nell’identificazione del dolo si configura una scala la quale, per gradi ascendenti, dal dolo di impeto passa alla consapevolezza e volontà propria della normale riflessione e, infine, giunge alla premeditazione: situazione psicologica e volitiva, quest’ultima, in cui emerge l’aggiunta di un quid
pluris all’ordinario grado di riflessione comune alla maggior parte delle azioni delittuose dolose, perché – quando attinge a tale grado – la riflessione dell’agente inerente al proposito di delinquere si caratterizza per la sua protrazione più o meno lunga nel tempo, senza soluzione di continuità, e conclama l’irriducibile continuità della conservazione del proposito stesso, ricercando o attendendo l’occasione per attuare li divisato reato, sicché tale proposito resta robusto e sopravanza tutte le controspinte inibitorie che, nell’intervallo temporale suddetto, si presentano via via alla coscienza e che, ordinariamente, avrebbero vinto un normale proposito delittuoso. Solo la situazione connotata dal menzionato quid pluris impone di annettere alla condotta dell’agente una perversità e pericolosità accentuate, giustificatrici del corrispondente, congruo aumento di pena (v. Sez. 1, n. 47250 del 09/11/2011, anche per ogni ulteriore riferimento).
Consegue che, nell’indagine da compiersi, rileva anche la valutazione dei mezzi usati e delle modalità caratterizzanti la condotta delittuosa dell’agente: in tal senso, anche l’agguato può concretare, in punto di principio, un indice rivelatore della premeditazione, in particolare quando esso si traduca in un’imboscata o insidia preordinata, allorché postuli un appostamento, protratte per un tempo più o meno lungo, in attesa della vittima designata e in presenza di mezzi e modalità tali da non consentire dubbi sul reale intendimento dell’insidia; in tali condizioni, il pur non lunghissimo tempo dell’attesa può valere a soddisfare gli elementi – ideologico e cronologico – costitutivi della premeditazione, sempre che, però, risulti dimostrato che il delitto sia stato comunque deliberato da un arco di tempo apprezzabile e in concreto sufficiente a far riflettere l’agente sulla decisione presa.
Le riflessioni svolte danno conto della ragione per la quale la mera preordinazione del delitto omicidiario – intesa come apprestamento dei mezzi minimi necessari all’esecuzione, nella fase a quest’ultima immediatamente precedente – non è sufficiente ad integrare l’aggravante della premeditazione, che postula invece il radicamento e la persistenza costante, per apprezzabile lasso di tempo, nella psiche del reo del proposito omicida, in relazione al quale costituiscono indici sintomatici il previo studio delle occasioni ed opportunità per l’attuazione, un’adeguata organizzazione di mezzi e la predisposizione delle modalità esecutive (Sez. 1, n. 5147 del 14/07/2015).
Nello snodo descritto, è compito del giudice di merito, onde valutare in modo adeguato la configurabilità dell’aggravante in questione, cogliere e apprezzare tutte le peculiarità della specifica fattispecie, accertando se i predetti requisiti sussistano o se essi siano, invece, l’uno o l’altro, da escludere: e ciò può avvenire anche in caso di agguato, tanto se si sia avuto l’avvistamento casuale della vittima quanto se sia verificato un appostamento che risulti essere stato frutto di un’iniziativa estemporanea, in relazione a cui la risoluzione omicida non sia maturata attraverso una lunga riflessione, con la possibilità di recesso prima dell’attentato (Sez. 5, n. 26406 del 11/03/2014; Sez. 1, n. 24733 del 21/05/2004).
In corrispondenza di questi argomenti, diviene ineludibile aggiungere che, quanto più è circoscritto il lasso temporale intercorso tra l’insorgenza nell’agente del proposito delittuoso e la sua attuazione, tanto più deve essere specifica l’individuazione e la dimostrazione degli altri indici sintomatici dell’avvenuta deliberazione del piano omicidiario e della ferma e pervicace volontà dell’agente stesso di portarlo a termine, senza cedimenti (Sez. 1, n. 41405 del 16/05/2019, in motivazione).
Corte di Cassazione Penale sentenza Sez. 1 n. 574 del 2020