Il Factum Principis indica una causa di impossibilità oggettiva ad eseguire la prestazione da parte del debitore a seguito di ordine dell’ autorità o di provvedimento autoritativo.
Ai sensi degli artt. 1218 e 1256 Codice Civile il debitore è responsabile per l’inadempimento dell’obbligazione fino al limite della possibilità della prestazione, presumendosi, fino a prova contraria, che l’impossibilità sopravvenuta, temporanea o definitiva, della prestazione stessa gli sia imputabile per colpa.
La giurisprudenza di legittimità è costante nel ritenere che l’impossibilità sopravvenuta che libera dall’obbligazione deve essere obiettiva, assoluta e riferibile al contratto e alla prestazione ivi contemplata, e deve consistere non in una mera difficoltà, ma in un impedimento, del pari obiettivo e assoluto, tale da non poter essere rimosso, a nulla rilevando comportamenti di soggetti terzi rispetto al rapporto.
Di conseguenza l’impossibilità sopravvenuta della prestazione produce gli effetti estintivi o dilatori se deriva da una causa avente natura esterna e carattere imprevedibile secondo la diligenza media.
La giurisprudenza di legittimità, in relazione all’ipotesi in cui un atto dell’autorità legislativa, amministrativa o giudiziaria , che incide negativamente sull’attuazione del rapporto obbligatorio, possa ritenersi idoneo a giustificare l’inadempimento o il ritardo nell’esecuzione della prestazione, ha ritenuto che nell’ipotesi di cd. factum principis deve ritenersi sussistente la responsabilità del debitore laddove il medesimo vi abbia colposamente dato causa.
Ciò in quanto il factum principis non basta, di per sè solo, a giustificare l’inadempimento ed a liberare l’obbligato inadempiente da ogni responsabilità.
Perché tale effetto estintivo si produca è necessario che l’ordine o il divieto dell’autorità sia configurabile come un fatto totalmente estraneo alla volontà dell’obbligato e ad ogni suo obbligo di ordinaria diligenza.
Ciò vale a significare che, di fronte all’intervento dell’autorità, il debitore non deve restare inerte nè porsi in condizione di soggiacervi senza rimedio, ma deve, nei limiti segnati dal criterio dell’ordinaria diligenza, sperimentare ed esaurire tutte le possibilità che gli si offrono per vincere e rimuovere la resistenza o il rifiuto della pubblica autorità.
Inoltre, nel caso in cui il debitore non abbia adempiuto la propria obbligazione nei termini contrattualmente stabiliti, egli non può invocare l’impossibilità della prestazione con riferimento ad un provvedimento dell’autorità amministrativa che fosse ragionevolmente prevedibile secondo la comune diligenza.
Corte di Cassazione Civile Sent. Sez. 3 Num. 11914 Anno 2016