I gravi indizi di colpevolezza sono il presupposto fondamentali per l’applicazione delle misure cautelari, ai sensi dell’art. 273 C.p.P.
Ai sensi dell’art. 273 comma 1 bis C.p.P.: Nella valutazione dei gravi indizi di colpevolezza si applicano le disposizioni degli articoli 192, commi 3 e 4, 195, comma 7, 203 e 271, comma 1.
Occorre in via preliminare richiamare il costante orientamento di legittimità (ex multis cfr. Cass., Sez. 5, n. 36079 del 5/6/2012), secondo cui la nozione di gravi indizi di colpevolezza non è omologa a quella che serve a qualificare il quadro indiziario idoneo a fondare il giudizio di colpevolezza finale.
Al fine dell’adozione della misura è infatti sufficiente l’emersione di qualunque elemento probatorio idoneo a fondare “un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato” in ordine ai reati addebitati. Pertanto, i detti indizi non devono essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti, per il giudizio di merito, dall’art. 192 comma 2 C.p.P., ed è per questa ragione che l’art. 273 comma 1 bis C.p.P. richiama l’art. 192 commi 3 e 4 C.p.P., ma non il comma 2 del medesimo articolo, il quale oltre alla gravità, richiede la precisione e concordanza degli indizi.
Quanto ai limiti del sindacato di legittimità, deve essere ribadito (sul punto tra le tante cfr. Cass., Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013) che, in tema di misure cautelari personali, allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte spetta solo il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che a esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato e di controllare la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie.
Il controllo di logicità deve rimanere quindi “all’interno” del provvedimento impugnato, non essendo possibile procedere a una nuova o diversa valutazione degli elementi indizianti o a un diverso esame degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate; in altri termini, l’ordinamento non conferisce alla Corte alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, né alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche soggettive dell’indagato, ivi compreso l’apprezzamento delle esigenze cautelari e delle misure adeguate, trattandosi di apprezzamenti rientranti nel compito esclusivo del giudice cui è stata chiesta l’applicazione della misura, nonché al tribunale del riesame.
Il controllo di legittimità è perciò circoscritto al solo esame dell’atto impugnato al fine di verificare che il testo di esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l’altro negativo, ovvero:
1) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato;
2) l’assenza di illogicità evidenti, risultanti cioè prima facie dal testo dell’atto impugnato.
Corte di Cassazione, Sez. 3 n. 32407/2020